Genova non è in Liguria
E
pure l’Università è arrivata! Dopo una lunghissima estate, con esperienze
scout, viaggi, mare, divertimenti, non sprecata a studiare (a quel tempo a
Medicina non c’era il numero chiuso!), poiché la decisione dell’indirizzo di
studi era presa, Medicina e Chirurgia, con l’indicazione di don Francesco
Griggio per una camera all’Istituto Pavoniano Fassicomo di Genova, presi il
treno più volte con il mio futuro compagno di camera Vincenzo, per tutti
“Enzo”. Prendemmo accordi e pagammo la prima rata di affitto per la camera, una
stanza austera e molto sobria che aveva il vantaggio di avere un’entrata
separata dall’Istituto che ci consentiva di rientrare anche abbastanza tardi la
sera. Era in un’ala distaccata del complesso di edifici, si può vedere nella
parte sinistra della foto.
Il
primo giorno, il direttore ci fece visitare gran parte dell’istituto,
soprattutto l’officina con i torni e le fresatrici, dove molti ragazzi avevano
imparato un mestiere. C’erano pure altri laboratori meccanici e artigianali di
altro genere come falegnamerie, telai e macchine per i calzolai. Era una
struttura grandissima diretta da religiosi che come i salesiani avevano a cuore
la formazione professionale dei ragazzi e dei giovani al fine di farne
cittadini utili allontanandoli così dalla strada e dalla delinquenza. Alla fine
della visita ci lasciò liberi nel cortile, dove alcuni di quei giovani
giocavano. Gironzolammo a vuoto ma senza essere coinvolti da nessuno di quei
gruppi e presto tornammo al treno.
Non
capitò più di frequentare quel cortile. Era come se avessimo affittato una
camera in un qualsiasi condominio aperto e chiuso da un portiere. Enzo portò a
Genova la sua Vespa 150 gialla alla quale aveva montato il parabrezza in
previsione dell’incipiente inverno. A novembre iniziammo le prime lezioni, lui
alla facoltà di Matematica, io a Istologia ed Embriologia, con il prof.
Capurro, che ci fece tutti ridere perché, parlando della mitosi cellulare,
disse che la cellula (“la célula”) si “sépara”. Per tutti era una pronuncia
ridicola. Alla nostra risata, Capurro reagì così: “Se siete ignoranti e non
avete mai sentito questa pronuncia, andate a controllare su un dizionario!”.
Aveva ragione!
Capii
allora quanto l’uomo, specialmente il ragazzo, è profondamente ignorante,
talmente enorme è il numero di cose che non si sanno, a confronto con le poche
che siamo convinti di sapere ma che sono spesso sbagliate.
Proseguendo
le lezioni non solo d’Istologia, ma anche di Biologia e Zoologia, di Chimica
Generale e Organica, di Genetica Umana, di Fisica e di Anatomia Umana, trovai
molto gusto alle novità che imparavo e la montagna di concetti e nozioni che
apprendevo non mi spaventava, anzi mi catturava e morivo dalla voglia di
saperne sempre di più. Quegli studi mi furono molto utili per avermi dato la
curiosità della ricerca, la tenacia nell’apprendere senza fermarsi agli
ostacoli e una motivazione pratica al mio cercare. Ero fermo nel mio intento di
diventare un buon medico per aiutare i malati perché considerai allora, come
maggiormente adesso, che la salute è il bene più importante.
Poiché
lo è per l’individuo, ma anche per una società, lo è per le aziende, per una
città, per una nazione, per i continenti, come si è imparato ora nella
pandemia. Sinché anche un solo continente soffre, tipo l’Africa, neanche gli
altri possono sentirsi al sicuro, per quanti muri e cordoni sanitari si possano
innalzare.
Così
presi una coscienza sociale e il prossimo non era per me solo un individuo, ma
pure la collettività e non era solo un povero, un malato, ma pure lo erano tutti
gli emarginati, gli oppressi, le classi sfruttate i cui individui sono
costretti a vendere, insieme al lavoro, pure la salute e il rischio della vita.
Infortuni
e malattie professionali erano un prezzo da pagare per conquistare un salario
che a malapena consentiva di andare avanti ma senza possibilità di uscire dal
tunnel dell’alienazione e dalla svendita delle braccia insieme ai polmoni, agli
occhi, con il rischio dei tumori, della silicosi, dell’asbestosi, degli
avvelenamenti, degli schiacciamenti, delle ferite, ecc.
Venni
a conoscere questi pericoli con un corso delle 150 ore, realizzato in
collaborazione con i sindacati unitari CGIL, CISL, UIL, FLM, Università
(Facoltà di Medicina e Chirurgia, Chimica, Fisica, Biologia, Ingegneria), con
lavoratori, professori e studenti.
Lo
Statuto dei Lavoratori, una legge dello stato ottenuta dalle lotte dei
lavoratori, prevede un monte di 150 ore che i lavoratori possono destinare,
retribuiti, allo studio. In molti casi il monte ore è utilizzato per conseguire
la licenza media, un diploma e a volte una laurea, quasi sempre
individualmente. Nel caso di quell’anno, a Genova, i lavoratori, spesso
delegati dei Consigli di Fabbrica, destinarono le loro ore annuali a uno studio
collettivo nel Seminario di Medicina e Lavoro, in cui si analizzavano le cause
di malattie professionali al fine di giungere a una sintesi e di proporre una
soluzione per la Salute sul lavoro.
Individuammo
un ambiente di lavoro e il gruppo di lavoratori che vi operava. Nell’ambiente
di lavoro erano presenti agenti di rischio alle quali il gruppo di lavoro era
sottoposto e che il gruppo di lavoratori doveva analizzare e discutere per
cambiare l’organizzazione del lavoro. Agenti di rischio come il cottimo, con i
ritmi, le operazioni ripetute, le posizioni disagevoli, la fatica,
l’illuminazione, il rumore, erano altrettanto nocivi come i fumi, le polveri,
le radiazioni, la temperatura, gli elementi tossici. Ci fu un momento in cui
decisi che la mia specializzazione futura sarebbe stata Otorinolaringoiatria.
Invece il destino volle che diventassi operatore di macchine utensili,
tornitore, e che lavorassi a cottimo, un destino che volevo scongiurare per
tutti ma che colpì me in prima persona. Condivisi con tutti quegli operai che
mi mettevano in guardia da tutti quei pericoli la condizione di sfruttamento
del lavoro salariato che mi consentiva di costituire un mio nucleo famigliare
come tutti loro, al prezzo d’infortuni e di danni che avrebbero avuto qualche
conseguenza negli anni futuri. Ma questa è un’altra storia! Se interessasse, ne
parlerò in un’altra occasione. Qui è dove ne ho già un po’ parlato: L'incubo
dell'Herbert 9C30 .
Il
punto nodale di tutta questa fondamentale esperienza è che in seguito a quest’opportunità
presi la scelta d’impegnarmi nella politica attiva e scrutai a Genova tra i
gruppi che mi sembrarono più impegnati nell’ambiente universitario e
studentesco.
Ma
prima una premessa di tipo religioso.
Ero
credente e l’esperienza dello scoutismo cattolico mi aveva rafforzato in una
scelta in cui ero già radicato dalla nascita, essendo cresciuto in una famiglia
di credenti attivi anche in politica e caritatevoli nella pratica di ogni
giorno. Ho frequentato le sacrestie anche come chierichetto, i cori nei pueri cantores, gli oratori e le
adunanze come aspirante di Azione Cattolica, e poi gli scout cattolici. Questi
ultimi mi avevano aperto gli occhi sulla realtà del mondo terreno, facendomi
vedere le sofferenze e le disparità a danno degli oppressi. Rifuggii dai
democristiani, che dividevo tra illusi e ipocriti, presi le distanze dal loro
clientelismo e dalla corruzione, mettendoci dentro le trame della strategia
della tensione e la collusione con i neofascisti, gli imperialisti americani, i
franchisti, i colonnelli greci, i golpisti cileni e sudamericani. Avevo molte
informazioni e mi formavo una coscienza solidale che mettevo in pratica nel
Servizio che il clan del mio gruppo SP1 mi proponeva. Con il mio compagno di
stanza Enzo, anche lui scout, e con altri tre, due scout e un operaio, avevamo
creato una comunità di preghiera in cui mettevamo in comune anche i nostri
risparmi per aiutare l’operaio disoccupato che doveva mandare avanti la
famiglia. Ci trovavamo per recitare la Liturgia delle Ore tutte le volte che ce
n’era l’occasione per farlo insieme e la recitavamo per conto nostro o in
gruppi di due quando eravamo separati. Partecipavamo alla S. Messa tutti i
giorni con la Santa Comunione che ci faceva sentire uniti tra noi, pure a
distanza, e con tutta la Chiesa. Enzo ed io, a Genova, recitavamo le Lodi alla
Casa dello Studente nella piccola Cappella insieme con altri studenti. Molti di
questi erano di Comunione e Liberazione, l’allora già discusso movimento creato
da don Giussani, che gli scandali di Formigoni disvelarono completamente come
associazione a fini di potere e di lucro.
È
una fortuna che non abbia simpatizzato con quel gruppo politico-religioso. Mi
sono mantenuto laico e mi sono trovato spesso a Mensa, in Corso Gastaldi, a
leggere tutti i volantini che venivano diffusi all’ingresso. Erano molti i loro
argomenti, la questione palestinese, la Spagna franchista, il Cile, il Vietnam,
ma anche il carovita, le spese per gli studi universitari, il presalario, il
caro libri.
Nella
Casa dello Studente di Corso Gastaldi nell’occupazione tedesca erano stati
rinchiusi, torturati e uccisi molti partigiani, disertori, uomini, donne,
sacerdoti. Patrioti che spesso erano stati lì impiccati con il cavo d’acciaio o
dei ganci. Tutto questo lavorava in me e ammiravo i compagni di Lotta Comunista
che vedevo i più attivi e numerosi, sempre presenti e con argomentazioni
precise e chiare che sortivano da una ferrea preparazione teorica. Anche quando
tornavo a Spezia, mi trovavo con un altro amico, scout anche lui, alle loro
iniziative. Lui, a un certo punto, mi disse una frase; «Sarebbe bello, Paolo,
se, dopo essere amici e fratelli scout, ci trovassimo pure compagni in “Lotta”
(Lotta Comunista)… ». Senza quasi pensarci, gli dissi che ero incerto, non
volevo sbilanciarmi, e così involontariamente lo smontai, tanto che lui decise
di entrare negli universitari del PCI ed io dirottai verso la Lega dei
Comunisti, un gruppuscolo di marxisti-leninisti presente soprattutto in Toscana
e poi a Roma, Verona, La Spezia e scarsamente altrove. Fu una valutazione poco
considerata che mi condizionò la vita per gli anni successivi. Restando a
Genova per la preparazione degli esami e per frequentare esercitazioni e
lezioni, seguii l’andamento di quel piccolo gruppo nella fusione con
Avanguardia Operaia e la creazione di Democrazia Proletaria.
Ecco
a cosa mi aveva portato la mia simpatia per i Cristiani per il Socialismo che
avevano formato la lista Movimento Popolare dei Lavoratori, che non aveva avuto
successo alle elezioni per il Parlamento.
Per
via del mio impegno militante nella sinistra rivoluzionaria non mi laureai,
avendo perso molto tempo che avrei dovuto dedicare agli studi. Anche la
vocazione per la medicina era scemata, avendo saputo dei molti errori impuniti
dei chirurghi che come casta si chiudeva a riccio in difesa dei propri membri
colpevoli, non lasciando neppure alle famiglie superstiti il sollievo di un
risarcimento economico, che persino gli arabi chiamano “il prezzo del sangue”.
Si
veniva in quegli anni a conoscenza pure di molti scandali di corruzione e
baronaggio in cui erano coinvolti dirigenti sanitari che avevano pronunciato il
giuramento d’Ippocrate. Il momento che viviamo oggi è un’amplificazione di
quello che avveniva già allora e il numero chiuso a Medicina, l’aumento delle
attività di lucro da parte di medici, gli interessi delle case farmaceutiche,
l’ingresso azionario nelle imprese sanitarie di azionisti interessati come la
Chiesa o altri intoccabili, hanno reso la missione della Salute, della cura,
della prevenzione, solo un grosso affare che ci sta portando verso modelli
statunitensi per i quali si cura solo chi è in grado di pagare.
Il
Welfare di cui godevamo tutti e che era un’eccellenza mondiale viene
smantellato picconando scelta dopo scelta.
Noi
stessi cittadini, disinteressandoci di tutto quello che è collettivo, ne siamo
responsabili. Se nella scelta del partito da votare, del sindacato cui
iscriverci, dell’associazione da sostenere, avessimo lo scrupolo di curare
meglio gli interessi di tutti e non solo il risparmio del momento presente, le
cose potrebbero andare meglio.
Tant’è,
questo è quanto!
Quelli
erano i miei sogni da ragazzo, già da giovane adulto mi sono disilluso.
Ringrazio
quei medici che resistono nella Sanità pubblica, che è l’unica che mi posso
permettere, che curano questo povero corpo e che ascoltano le paturnie dell’età
e di una vita difficile. Il sistema sociale è da ricostruire, non solo a colpi
di miliardi del PNRR… Questa generazione che avanza se ne farà carico, oppure
sarà destinata a una fine ingloriosa di sofferenze senza scampo.
Avrei
voluto, quando ho iniziato a scrivere dell’università, parlare come faccio di
solito di qualche bell’episodio, di molte note di colore, descrizioni, della
vita a Genova, degli incontri, della neve e del vento subiti in Vespa correndo
per le sue arterie e su per le strette vie in salita, o dei negozi che
frequentavo e amavo, del bar frulleria in cui mi regalavo un dolce frullato
ogni volta che superavo un esame, degli innamoramenti, delle simpatie, delle
amicizie, ricordando i compagni di studio, le esercitazioni di anatomia sul
cadavere, le autopsie, seguite dai pranzi in mensa vicino a San Martino in
compagnia d'inappetenti compagni di studi che vi avevano assistito insieme a
me, che invece ero affamato, delle ore di studio negli scompartimenti del
treno, di quella forcata da una lezione di Chimica, proposta da un compagno del
mio gruppo perché preferiva pattinare ad Albaro con la ragazza che quel giorno
ci andava.
Io,
solo tra tante coppie di fidanzati, amiche e amici che pattinavano (e cadevano)
a gruppetti, mi lanciavo con poco equilibrio (e cadevo spesso) attirando le
risate di tante bellissime ragazze genovesi che non avrei mai abbracciato.
Mi
divertii un pozzo!
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