Coda di lupo - Fabrizio De André - foto del Convegno contro la repressione di Bologna del '77 - di Paolo Luporini




Video e foto del Convegno contro la repressione del '77 a Bologna 

Coda di lupo (Fabrizio De André, Massimo Bubola)

Coda di lupo è una canzone fortemente politica e al contempo molto criptica, che va dipanata strofa per strofa. Riprende il discorso iniziato con STORIA DI UN IMPIEGATO, nato dai sogni del Sessantotto. Dopo le elezioni del 1975, in cui il PartitoComunista Italiano ebbe un risultato notevole ma non sufficiente per il sorpasso della Democrazia Cristiana, un De André deluso, quasi arrabbiato, scrive con Massimo Bubola un album triste, dove in Coda di lupo esprime tutta la sua delusione. Infatti, la canzone “è una disperata disamina del fallimento della rivolta sessantottina e del riflusso della speranza della fantasia al potere nell’area dei gruppi autonomisti, come gli indiani metropolitani. Non a caso l’illustrazione abbinata a questa canzone nel libretto che accompagna il disco è quella del venditore di cocomeri: un modo per dire che tutto è fallito, andiamo a fare un mestiere qualsiasi, vendere cocomeri può valere come andare a caccia di bisonti in Brianza, come recita un verso del brano”. Massimo Bubola racconta che mentre stavano scrivendo questa canzone avevano in mente l’affresco potente e magico di A Hard Rain’s A-Gonna Fall di Dylan, con le sue metafore bibliche. La storia narrata in Coda di lupo è quella della “trasformazione dell’indiano della prateria in indiano metropolitano”. Ricordiamo che gli indiani metropolitani furono uno dei gruppi studenteschi più attivi e creativi nella contestazione del ’77.

Inframmezzato alle varie strofe c’è il ritornello che, con varianti, mette in guardia dal credere nelle false divinità; ritornello che costituisce un po’ la chiave per leggere il racconto ed è a sua volta suscettibile di diverse interpretazioni.

Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto correvo dietro ai cani.

Nella canzone si vede dapprima il protagonista bambino, libero e innamorato di tutto quanto lo circonda, correre con il nonno dietro cani, cavalli e buoi nelle praterie. Il nonno ha un ruolo importante per il ragazzo, infatti veglia “sui fatti miei sui fatti tuoi”. Il dio degli inglesi è, molto probabilmente, quello della borghesia a cui chi appartiene alla piccola borghesia tende.

E, quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo, quando ruba un cavallo,

lo fa per dimostrare di essere ormai un adulto, e infatti solo allora può cambiare il suo nome in Coda di lupo. Scatta un collegamento al futuro: “Fabrizio, dopo il sequestro, avrebbe paragonato il suo rapimento a un furto di cavalli: come nelle tribù pellerossa si rubano cavalli per diventare uomini, in certe tribù della Sardegna si rubano pecore o si rapiscono uomini”. Il dio perdente è quello che veniva (e viene) agitato contro la ribellione giovanile.

E fu nella notte della lunga stella con la coda

Ma ecco che l’indiano, quando trova il nonno ucciso nella notte della cometa, diventa metropolitano. Qui il riferimento è sia al genocidio dei Nativi Americani (la crocifissione del nonno) sia alla contaminazione con la società dei consumi (le forchette, la crema, il dio goloso). Il dio goloso può essere anche visto come quello che ha divorato gli ideali dei partigiani.

E forse avevo diciott’anni e non puzzavo più di serpente

Inizia la ribellione. Armato di uova (“sassi a punta”), l’“indiano” manifesta davanti alla Scala di Milano – la cui prima è evento principe della mondanità e occasione per la borghesia di “esserci” – e se la prende con le persone vestite da gala, in smoking (“uccisi uno smoking e glielo rubai”, il “dio della scala”).

Poi tornammo in Brianza per l’apertura della caccia al bisonte

Il protagonista cerca di inserirsi negli svaghi della borghesia (di cui la Brianza è topos) ma ne è rifiutato. Il dio a lieto fine è quello che non vuole proteste, rivendicazioni sociali, quello che ci dice che va tutto bene.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Bighorn

Qui c’è un riferimento molto preciso. Luciano Lama, segretario della CGIL dal 1970 al 1986, il 17 febbraio 1977 tenne un comizio all’università di Roma e fu duramente contestato dagli studenti (“non fumammo con lui, non era venuto in pace”). La protesta fu molto decisa. “Il palco venne distrutto, l’ateneo sgomberato, la CISL e la UIL rifiutarono di dar vita a una manifestazione di solidarietà col leader contestato”.289 Il dio “fatti il culo” è quello che, in base alla linea di Luciano Lama, bollata di moderatismo, chiede ai lavoratori di abbassare la testa e lavorare di più. E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa “L’ultima strofa è pasoliniana e segna il ritorno al mito, per quanto scalcinato, perché il ragazzo ormai vecchio viene

‘scolpito in lacrime sull’arco di Traiano

come un barbaro sconfitto trascinato in trionfo dall’imperatore”. È la forza di conservazione della piccola borghesia che riemerge. Si lascino perdere le rivoluzioni, le proteste, si sfoghino le rabbie in un teatro di posa, magari, in un ambiente finto. Il dio senza fiato è quello che sintetizza tutte le altre false divinità, povere, fittizie e quindi senza respiro.

(tratto da Walter Pistarini, "Fabrizio De André. Il libro del mondo. Le storie dietrole canzoni", 2018, Giunti Editore)


Testo della canzone                                                      Coda di Lupo

F. De André

 

Quando ero piccolo m'innamoravo di tutto

Correvo dietro ai cani

E da marzo a febbraio mio nonno vegliava

Sulla corrente di cavalli e di buoi

Sui fatti miei, sui fatti tuoi

E al Dio degli inglesi non credere mai

E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo

Rubai il primo cavallo e mi fecero uomo

Cambiai il mio nome in "Coda di lupo"

Cambiai il mio pony con un cavallo muto

E al loro Dio perdente non credere mai

E fu nella notte della lunga stella con la coda

Che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa

Crocifisso con forchette che si usano a cena

Era sporco e pulito di sangue e di crema

E al loro Dio goloso non credere mai

E forse avevo diciott'anni e non puzzavo più di serpente

Possedevo una spranga un cappello e una fionda

E una notte di gala con un sasso a punta
Uccisi uno smoking e glielo rubai
E al dio della scala non credere mai.
Poi tornammo in Brianza per l'apertura della caccia al bisonte
Ci fecero l'esame dell'alito e delle urine
Ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
- Per la caccia al bisonte - disse - Il numero è chiuso.
E a un Dio a lieto fine non credere mai.
Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn
Capelli corti generale ci parlò all'università
Dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce
Ma non fumammo con lui non era venuto in pace
E a un dio fatti il culo non credere mai.
E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
Che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
Che ho imparato a pescare con le bombe a mano
Che mi hanno scolpito in lacrime sull'arco di Traiano
Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
Ma colpisco un po' a casaccio perché non ho più memoria
E a un dio senza fiato non credere mai.







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