In memoria di Little Richard
R.P.A. Radio Popolare Alternativa
di
Paolo Luporini
In
quegli anni ero un marxista-leninista. Avevo scelto di militare in uno dei più
piccoli partiti della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare, la Lega dei
comunisti, non presente su scala nazionale ma prevalentemente in Toscana, a
Verona e a Roma, convinto che sarebbe stato il partito della rivoluzione. Nella
nostra città di confine con la Toscana era presente un bel gruppo, diviso tra
una sezione principale in Via Prione e una a Mazzetta in via Lunigiana.
Con
la liberalizzazione delle frequenze FM si apriva la possibilità, con poca
spesa, di chiedere la concessione dell’utilizzo di una banda di frequenze. A
qualcuno, non so a chi, venne l’idea di costituire una radio del movimento, a
imitazione delle più famose Radio Popolare e Radio Alice. Dopo veloci riunioni
e contatti con Lotta continua e membri del Comitato di quartiere di Melara e
Termo, decidemmo il nome, Radio Popolare Alternativa, la sede, San Venerio
Castello, dove c’era una stalla da affittare, e la forma cooperativa. Dal
notaio la costituimmo con presidente il socialista Elio Bontempi, un pensionato
mite e simpatico. Ricordo che per il versamento della quota di socio ci venne
chiesto stranamente di firmare una cambiale.
Iniziammo i lavori nella sede di San Venerio, una stalla, che doveva essere completamente ristrutturata. Quell’estate lavorammo duro. Vennero ad aiutarci anche dei ragazzi del paese, come testimoniano le mie fotografie. Si dovette creare la sala di trasmissione alzando un muro con una grande finestra che avrebbe avuto una vetrata. A me toccò il ruolo dell’abate Faria, e quello fu il mio soprannome, perché dovetti aprire un varco nel pavimento e nel muro di sasso durissimo per lo scarico del WC.
Difficoltoso fu pure il trasporto dei materiali, che dovevano attraversare tutto il paese senza poter utilizzare muli meccanici, che allora non c’erano. Per il trasporto della moquette, che avevamo acquistato per poche lire, dovemmo disporci in sei robusti e darci il cambio da un punto della strada sovrastante sino alla sede, in discesa, tra vigne e case. Una volta intonacato e posato la moquette nella sola sala di trasmissione, ci procurammo un’infinità di cartoni per uova che dovevano funzionare da pannelli antiecoici. Nel frattempo il tecnico Fabrizio Canese aveva assemblato il trasmettitore e installato la grossa antenna. Ci aveva promesso un’ottima copertura della città.
Dopo
le prime prove di trasmissione, che si protrassero a lungo, vennero iniziate le
trasmissioni vere e proprie, ma sempre di prova. Si era sparsa la voce che la
radio trasmetteva saltuariamente e molti cercavano di captarla. In quei giorni
tutte le nostre attività erano dedicate alla radio. C’era un fortissimo
entusiasmo, dovuto alle vicende nazionali e del movimento giovanile, operaio e
femminista. Io andai a mie spese, come molti altri, al Convegno di Bologna,
come inviato di Radio Popolare Alternativa. Là mi feci accreditare e mi venne
data accoglienza da parte di un socio di Radio Alice, che mi ospitò in una sua
casa in cui c’erano altri compagni e compagne. Discutemmo sino a notte fonda,
ascoltando musica. Il giorno dell’Assemblea Operaia mi misi sul palco con il
mio registratore a cassette e registrai tutti gli interventi, che al mio
ritorno trasmisi dalla nostra radio.
Iniziarono
trasmissioni regolari con cassette registrate e programmi veri e propri in
diretta. Mi cimentai in una breve serie iniziale di un programma comico che
imitava Alto Gradimento. Eravamo io e Giovanni Copelletti e ospitavamo amici che
interpretavano i nostri personaggi comici. Me ne ricordo uno, un venditore di
tappeti proveniente dal Congo. Bagongo era molto insistente e ogni volta ne
compravamo uno. Avevamo ovviamente il telefono e ricevetti persino una
telefonata da un’ammiratrice, Francesca, l’unica che ci ascoltava, che era
talmente ben disposta che ci fece i complimenti. Fabrizio Canese, tecnico della
radio, sosteneva che erano necessari sempre più soldi per ovviare ai problemi
tecnici.
Iniziai
pure i notiziari di Radio Popolare Alternativa. Mi preparavo alla mattina
ritagliando le notizie dai principali quotidiani della sinistra
extraparlamentare, il Quotidiano dei lavoratori, Lotta continua, il Manifesto,
e dall’Unità, dal Corriere della sera, dalla Nazione e dal Secolo XIX. Preparavo
gli articoli e li trasmettevo alle 13 e la sera alle 19. Erano ascoltati.
Presto
venne proposto, data la difficoltà di raggiungere San Venerio da parte di molti
di noi sprovvisti di mezzi di locomozione individuale, di trasferire la sala di
trasmissione nella sede della sezione Mazzetta della Lega dei Comunisti,
confluita in Avanguardia Operaia e di lì in Democrazia Proletaria. Il patto era
che R.P.A. ne pagasse l’affitto. Era in via Lunigiana e vi si accedeva da un
vòlto che si apriva in un piccolo cortile. Si saliva una breve scala e c’erano
solo tre stanze. Era necessario un trasmettitore da quella sede al ripetitore
di San Venerio. Altre spese di materiali elettronici, doppie spese per i due
affitti, lavori della sede di San Venerio andati sprecati. Era necessaria una
campagna di autofinanziamento e perciò organizzammo un concerto nel parco di
Melara con il Gruppo Folk Internazionale,
con ingresso ai soli soci. Pertanto disegnai le tessere con la scritta R.P.A. in
modo alternativo. Infatti la “A” di Alternativa era una “Y” rovesciata. Sotto
c’era la frequenza. Preparai la matrice al ciclostile e tirai le stampe su
fogli di cartoncino rosso, uno per uno. Costruimmo noi il palco con tubi per
impalcature e assi prestati da una ditta edile. Quella sera, benché fossimo
stanchissimi per aver lavorato tutto il giorno sotto il sole, ci divertimmo
moltissimo, ballando al ritmo di “Orange blossom special”
e cantando il ritornello di “Daloy Politsey”.
Gian
Paolo Ragnoli, Paolo Chang, Achilli, Fabrizio Tomà, Maurizio Cavalli,
Bisciotti, insieme a molti altri, curavano programmi musicali e culturali. Si
dava spazio a tutti, non c’era controllo. Si prendeva materiale da “Re Nudo” e
da “Il Male”. La sede di R.P.A. era diventata un centro di aggregazione dove la
radio si ascoltava in diretta dalla stanza attigua alla sala di trasmissione.
Io
mi calai nella parte di Lupo solitario, il personaggio prestato da American
Graffiti, curando una trasmissione con vere lezioni sul Rythm & Blues, sul
rock & roll. Mi mancavano i ghiaccioli e il frigo rotto. Calato nel personaggio
del rocker, vestivo pure a quel modo, con mocassini e jeans a tubino; vedevo
con Giambo, Mauro Bertocchi e Marina Fregoso, nella casa di piazza Chiodo di
questi ultimi, gli episodi di Happy Days. Prendevo il materiale dei miei
servizi dal numero speciale sul rock di una rivista “Popstar” che aveva sulla
copertina le figurine in stile “Sticky fingers” dei Rolling Stones. I brani
musicali me li registrava Maurizio Bisciotti, che aveva un’ottima collezione di
dischi comprendente il periodo che m’interessava. Alcuni li comprai trovandoli
molto scontati perché non più di moda: i Platters, Tutti frutti
di Little Richard,
Whole lotta shakin' goin' on
e Great balls of fire
di Jerry Lee Lewis,
un disco di Fats Domino e uno di Muddy waters. Il mio preferito era Little
Richard ma ero appassionato sia dalla sua storia che da quella del grande Jerry
Lee Lewis, la mosca bianca del rock. Mi piaceva meno Elvis Presley, che ora
riconosco come un vero talento, insieme a Chuck Berry e a Bo Diddley.
Quest’impegno quotidiano e le trasmissioni sul rock alleggerivano per me il
peso della militanza politica che, seppur paragonato all’età, era veramente
gravoso.
Erano
momenti pure di tensione con il gruppo di autonomia operaia e con i fascisti.
Pertanto, una domenica in cui ero impegnato in un’amena attività del comitato
di quartiere di piazza Brin con i disegni dei bambini sulla pavimentazione
intorno alla fontana, insieme ad una mia “fiamma” d’allora, un iscritto alla
FGCI, che seppi poi cotto di lei, mi venne incontro e mi disse che la sede
della radio era stata data a fuoco dai fascisti. Io e il mio compagno e amico
Elio ci precipitammo sulla mia Gilera ma trovammo tutto in ordine. Allora
mangiai la foglia, ritornammo in piazza e trovammo i due. Lui le stava facendo
la “dichiarazione”. Io e maggiormente Elio lo coprimmo di educati insulti per
l’atto spregevole che era inaspettato sia per la sua militanza che per la
parentela illustre con cotali genitori che qui taccio perché il tempo mi ha
fatto misericordioso.
L’ultimo
aneddoto divertente riguarda un pomeriggio in cui io e un mio compagno
scorrazzavamo sulla moto e verso le sette di sera decidemmo di andare alla
radio per vedere chi c’era e ascoltare un po’ di musica con lui. Avevo le
chiavi. Salita la scala esterna, aprii il portoncino ed entrai nella stanza
dove c’era la sala di registrazione aprendone la porta. Un’occhiata rapida su
due corpi nudi mi fecero riconoscere le chiappe di un mio amico e il seno della
sua ragazza. Dalla mia bocca uscì un: “Oops!!!” definito da lui più avanti “Il
corto ciao”, perché subito richiusi la porta e uscii dando delle spiegazioni
riservate al mio compagno che non aveva visto nulla.
Dopo
qualche mese, i fatti di Moro ci travolsero e io abbandonai la politica in
Democrazia Proletaria e anche la radio, che si fece ancora viva con me
nell’atto della sua morte, quando, occupata dagli autonomi che ne erano
diventati “egemoni” con i loro modi cortesi e democratici, aveva accumulato dei
debiti e mi era stato suggerito di andare dal notaio e di cessare di esserne
socio.
A Radio Popolare Alternativa condussi una trasmissione regolare (non so più se una o più volte alla settimana) solamente nel periodo di San Venerio.
RispondiEliminaLa mia trasmissione andava in onda in diretta intorno alle 14 o alle 15 e per prendere il piccolo bus che mi portava fino a San Venerio dovevo correre fino a (mi pare) piazza Chiodo non appena uscivo da scuola (il liceo scientifico) alle 13. Se non correvo, perdevo il bus, e il successivo arrivava troppo tardi. Quindi ogni volta era un bagno di sudore.
Il mio programma si chiamava Radio Gnome Invisible (come un brano dei Gong, ovviamente usato come sigla). Riguardo alla musica che mettevo ricordo solo una puntata su Carla Bley, che di lì a poco (il 20 luglio 1978) avrebbe suonato a Umbria Jazz, dove andai poi a sentirla partendo da Spezia in autostop con un’amica e un amico.
È quindi probabile che la mia trasmissione sia iniziata nell’autunno ’77 o nei primi mesi del ’78 e proseguita fino a quell’estate del 1978. In ogni caso, sono ragionevolmente sicuro che sia cessata prima del trasferimento della radio in via Lunigiana, che credo sia coinciso – grosso modo – con il mio trasferimento a Bologna.
Dai microfoni di via Lunigiana non so se mi capitò mai di parlare: ci andai, sì, qualche volta, forse non più di due o tre, quasi sempre con Giambo. Mi pare anzi che fossi proprio io al mixer quando Ted Malvern (adottando per l’occasione lo pseudonimo di Red Alarm) fece in diretta la sua «Some Like It Hot - Antinuclear Radio Performance», accompagnato da Xindrox (chitarra e distorsori) ed Electric Shock (sintetizzatore e chitarra). Ho qui la cassetta, che registrai direttamente dal mixer.
Alessandro Achilli