Cambiare la Vita Cambiare la Società


 

Paolo Luporini

 

Sono convinto che un fenomeno non possa essere considerato da un punto di vista generale se non se ne sono stati analizzati molti casi particolari.

Vorrei qui fornire il mio punto di vista personale sui nostri “formidabili anni” in cui, come scrisse Abbie Hoffman nella prefazione di Anti-disciplinary protest, “Eravamo giovani, eravamo avventati, arroganti, stupidi, testardi. E avevamo ragione! Non rimpiango niente.”.

Io provenivo da una famiglia cattolica pragmatica e dall’esperienza dello scoutismo cattolico dei primi anni ’70, con l’esempio dei capi che facevano la loro scelta politica ispirandosi all’ideale del motto “Servire”.

Era l’anno del patto associativo che lasciava la libertà di scegliere l’impegno sociale e quindi politico come parte dell’impegno più generale del servizio nella carità e ne imponeva quasi l’obbligo.

Lo scoutismo, nel gruppo Spezia 1 dell’A.S.C.I., di cui facevo parte, ci aveva educato allo spirito critico e al dubbio che è utile ad una buona scelta. Perciò, avendo sperimentato la contestazione già dal primo anno di liceo (era il ’68) con le prime assemblee d’istituto e uno sciopero bianco (così avevamo chiamato l’occupazione dell’istituto effettuata di concerto con la maggioranza dei professori), al momento dell’iscrizione all’università mi trovai a Genova a contatto con il volantinaggio e le iniziative del gruppo di Lotta Comunista.

Frequentai alcune loro iniziative ed ero vicino ad entrarvi, anche perché un mio carissimo amico mi propose di farlo insieme. Però io rimandai e pure lui prese un’altra strada.

Mi iscrissi al corso delle 150 ore sulla salute in fabbrica che coinvolgeva lavoratori di varie fabbriche genovesi. Avevano diritto alla frequenza retribuita e anziché utilizzare questo beneficio per una progressione scolastica individuale lo spendevano nell’interesse di tutti gli altri lavoratori, formandosi come esperti delle nocività del ciclo di lavoro.

Gli studenti ed alcuni professori universitari partecipavano ai gruppi di lavoro, alle conferenze e alle lezioni e preparavano materiale divulgativo da diffondere tra i lavoratori.

Io seguii il corso sulle polveri e i fumi, cause nocive che avrei dovuto conoscere per il mio studio di Medicina (volevo specializzarmi in otorinolaringoiatria).

Quest’esperienza mi legò più in concreto al mondo operaio e alla realtà dell’ambiente di lavoro, al di là di quello che poteva esserne il mito per noi studenti. Scelsi quindi, per un ideale di giustizia, di schierarmi a fianco degli oppressi.

Cominciai a studiare libri marxisti e a leggere quotidiani e riviste per orientarmi ad una scelta politica. Trovai piena condivisione nella linea espressa nel giornale Unità operaia e nei documenti dell’ultimo congresso della Lega dei comunisti, un piccolo gruppo di marxisti-leninisti attivo in Toscana con sedi a Roma, Verona e La Spezia.

Cominciai a frequentarne le riunioni e mi ritrovai a diffonderne il giornale alla Fiera di San Giuseppe. Mi iscrissi e ne diventai un militante, occupandomi in gran parte di tematiche sociali.

Avevo il mio gruppo, i miei compagni. Soddisfacevo così il bisogno comunitario di cui un giovane necessita.

A parte i momenti in cui ero con la fidanzata, che era liberale, ero quasi sempre con i compagni. Anche alla sera mi ritrovavo al Bar Roma, di lato alla Piazza del Mercato e a fianco del cinema Cozzani. Vi si incontravano quasi tutti gli extraparlamentari insieme a iscritti del PCI, intellettuali spezzini, artisti, cani sciolti, frikkettoni. Di lì molte volte si partiva per l’affissione dei nostri manifesti oppure si prendeva un caffè prima della riunione o si decideva di partecipare ad un cineforum o di spostarci in casa di uno di noi per raccontarci aneddoti, ridere, scherzare e suonare e cantare le nostre canzoni.

Io disponevo allora di una moto Gilera 125 e di una Ford Escort 1100 color verde uovo di papera con cui facevo speakeraggio propagandando le nostre iniziative politiche. Le spese di questi giri erano sostenute dalla mia famiglia democristiana.

Una delle attività sociali di cui mi occupavo era in primis la partecipazione alle attività del consiglio di quartiere di Piazza Brin, di cui mi piacevano molto le iniziative culturali. Conobbi lì Sergio Fregoso, Renzo Dadà, Maurizio Maggiani, Gianni Iannelli, Pietro Bellani.

Iniziai ad usare la macchina fotografica con cui scattai le foto che correderanno il libro Cuori in fiamme. L’avevo sempre con me, in tasca dell’eskimo, al collo o nel cruscotto della Ford.

A livello nazionale venne l’autoriduzione delle bollette telefoniche. Funzionava operando il ricalcolo dei corrispettivi al netto degli aumenti contestati. A livello cittadino l’autoriduzione ebbe una grande partecipazione, così come poi il mercatino rosso in cui si vendette della carne in Piazza Brin. La carne era stata comprata direttamente in un macello e, escludendo grossisti e dettaglianti, poté essere venduta alla metà del suo prezzo nelle macellerie.

La lotta per il diritto alla casa era molto importante in quegli anni e la promulgazione della legge sull’equo canone rendeva necessaria la sua divulgazione per una corretta e generale applicazione. Io e Federico Paganini (Lucio) fondammo a Spezia dietro sua iniziativa l’Unione Inquilini, studiandone gli aspetti legali con l’aiuto di un avvocato che si prestò ad istruirci. Aprimmo uno sportello nella sede di via del Prione della Lega dei Comunisti e vi davamo consulenza ad inquilini (e persino proprietari!) che facevano la fila sulle scale anguste.

Infine fu aperta la sezione della Lega dei Comunisti di Mazzetta, con sede in via Lunigiana dove poi, quando questa era diventata di Democrazia Proletaria, dopo qualche anno fu insediata Radio Popolare Alternativa, la radio spezzina del movimento.

Il contatto con il mondo operaio continuai a tenerlo perché mi occupai di propagandare le nostre proposte per il rinnovo del contratto con i ferrovieri, i metalmeccanici e i lapidei. Settimanalmente c’era almeno un volantinaggio o la vendita del “quotidiano dei lavoratori davanti a una fabbrica ed eravamo conosciuti dagli operai, tanto che un anno, d’estate, fui assunto in una ditta grazie ad un sindacalista del consiglio di fabbrica che mi presentò al padroncino.

Lavorai come manovale e come aiuto tubista da Sgorbini e imparai che otto ore, anche se sembran poche, meritano di provare a lavorarle. Poi fui spostato alla centrale Enel che a quel tempo bruciava carbone e dovetti lavorare a turno a cambiare i filtri di uno dei forni.

Fu un lavoro davvero schifoso e nocivo e la settimana in cui dovemmo fare il turno di notte fu massacrante. Non ressi. Mi licenziai dopo un’altra settimana e ricominciai a studiare.

Mi meraviglio di come molti operai possano lavorare tutta una vita a turni. A loro va il mio rispetto ma soprattutto la pietà e provo un senso d’impotenza verso l’ingiustizia che morde le loro carni. All’Enel di Spezia non si brucia più carbone ma nel mondo esistono ancora lavori massacranti e schifosamente nocivi che rasentano la schiavitù e perciò non esiste neppure oggi giustizia.

Il richiamo al mondo non è casuale perché mi sentivo suo cittadino e solidale con tutti i popoli oppressi e gli sfruttati. Non ho ancora smesso di pensarla così e di sperare che il melting pot si completi. I fatti mi danno ragione.

Anche l’economia livellerà i popoli come effetto di questa pandemia ma non è certo che possa farlo in modo orizzontale. Infatti, per il momento, il divario tra estremamente ricchi e poverissimi è esagerato, scandaloso e disumano. Però la coscienza dei lavoratori è fuorviata da quelle che sono le necessità quotidiane o i piccoli privilegi la cui difesa cozza contro le ingiustizie patite da miseri.

Oggi i problemi mondiali si vorrebbero arginati da frontiere indifendibili o dai bombardamenti e dalle guerre.

L’ignoranza della storia e dei suoi meccanismi porta danni gravissimi perché non se ne tiene conto. Politici e militari ragionano solo di tattica e non sanno fare strategie di ampio respiro e lungo periodo.

Questo millennio non pare essere iniziato come epoca di statisti o teorici. E’ iniziato con l’attacco alle torri gemelle, attacco causato da almeno un millennio di confronto tra culture e domini contrapposti.

Lo stato di guerra permanente che colpisce civili a migliaia dappertutto nel mondo, negli scenari di guerra e terrorismo, è l’effetto della sconfitta delle masse popolari che hanno relegato nelle mani di pochi sconsiderati le scelte più gravi.

Il comportamento di molti leader nazionali in questa pandemia ha favorito gli untori e il virus facendo ipotizzare un intento di depopolazione. Questa pandemia è un evento che avrebbe potuto portare a buoni cambiamenti verso una società più giusta e rispettosa dell’ambiente ma gli uomini non vi sono ancora pronti e così temo che i disastri continueranno.

 

La fine del movimento del ’77, causata dal collasso di Lotta Continua, dal terrorismo brigatista ed infine culminata con l’assassinio del presidente della DC Aldo Moro, in Italia ha coinciso con il ritorno nel privato di masse di ex militanti, giovani ex simpatizzanti, femministe e operai o intellettuali che si sono ritirati dall’impegno e hanno molte volte persino rinunciato ad informarsi (senza contare tutti quelli che hanno saltato il fosso).

In molte altre parti del mondo questo ruolo l’hanno avuto l’economia, con la crisi, oppure la repressione o il crollo del socialismo reale dei paesi comunisti. Le rivolte, nei paesi arabi, non avrebbero, alla fine, portato nulla di buono. Ora in Europa ritornano il nazionalismo e la xenofobia, che sembravano sepolti con le ceneri di Hitler.

Hanno preso campo da tempo la disinformazione e la cultura individualistica edonistica del consumo per la quale persone e cose sono diventate merci.

Al contrario, laddove si possono trovare isole in cui si pratica la solidarietà, si può coltivare la speranza in un mondo migliore.

Quando feci la mia scelta di militare in un gruppo politico lo feci perché mosso dal principio di voler fare giustizia perché ritenevo che tutti noi uomini fossimo nati uguali e pertanto avessimo uguali diritti e dovessimo avere pari opportunità e remunerazione e che il contributo di ciascuno alla società dovesse venire in misura della coscienza personale e delle forze e doti individuali.

Alla luce dell’esperienza di tutti questi anni di vita penso invece che nasciamo già molto diversi.

Ognuno di noi è unico.

L’ambiente familiare e sociale ci fanno diversi per educazione e anche l’intelligenza e il fisico si sviluppano in modo differente in base agli stimoli, alla nutrizione, all’allenamento.

La storia personale ci condiziona eppure dobbiamo liberarci dalla gabbia limitante delle nostre origini per scegliere di non essere egoisti ma di aiutare gli altri a fare lo stesso.

Questa pandemia, al pari della Peste di Orano di Albert Camus, c’insegna che, di fronte all’ineluttabilità, al rischio totale, l’unica scelta possibile è l’Aiuto. Il paradosso è che per molti l’aiuto solidale è la distanza, mentre alcuni devono servire i malati, rischiando il proprio contagio.

L’amore circolare è un amore contagioso che viene propagato perché supera l’equazione bilaterale del “do ut des” (do affinché tu mi dia).

Il miglior aiuto che ci viene dato viene da chi ci è maestro.

Possiamo anche noi aiutare gli altri facendoli artefici della loro liberazione.

Ognuno ha un proprio cammino.

Necessaria è la speranza, per iniziare e continuare i propri passi; utile è il dubbio; cara al cuore la fiducia di camminare nella giusta direzione; prezioso l’aiuto di chi si affianca; doveroso fornirlo a chi è più indietro.

Con la metafora scout della Strada chiudo il cerchio perché Scout una volta, scout sempre!”.

 


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