Lento ritorno a casa

Il Collettivo Franceschi, per una sera, di nuovo sul palco. 

Dublino, dal nostro inviato. 

Non poteva iniziare meglio la serata. The Point era strapieno, l'aria era elettrica, quella delle grandi occasioni. Arrivano i Pogues, in perfetta forma, e scaldano immediatamente, a modo loro, un pubblico che aveva ben poco bisogno di essere scaldato. Aprono con Dirty Old Town, poi un set tiratissimo chiuso da una cover di London Calling, dedicata a Joe, un amico che non c'è più. Subito dopo, senza un attimo di sosta Shane annucia: "Ed ora degli amici che sono ritornati, dopo tanto tempo. Ladies and gentlemen, il Collettivo Franceschi!
Invece, con un vero e proprio colpo di teatro, arriva sul palco da solo Red Ivou, già con l'acustica a tracolla. Sorride, mormora qualcosa come "quanto tempo..." e canta una canzone inedita, Suburban Pubs, e subito dopo 23 gennaio, una scelta che è possibile leggere come una dichiarazione di appartenenza, di fedeltà alle proprie radici, di recupero di una memoria collettiva. Poi lo raggiungono George Strangeman e Ted Malvern, e in scena sul grande palco di The Point, di fronte a più di mille spettatori, c'è il Collettivo, il gruppo che è stato la voce del Movimento in anni lontani, in quel pugno di giorni irripetibili degli anni Settanta: anni formidabili direbbe Mario Capanna. Molti dei presenti appartengono, come i componenti del gruppo, all'ultima “generazione felice” secondo i sociologi: quella dei nati dalla fine della seconda guerra mondiale alla prima metà degli anni Cinquanta, gente ancora capace di inseguire un sogno, di battersi per delle utopie anche se qualche volta ha lasciato i larghi viali delle manifestazioni per approdare - rubiamo l'immagine a Franco Fabbri, insigne musicologo ma soprattutto chitarrista degli Stormy Six - in Borsa. Ed ora eccoli qui, dopo un silenzio di più di dieci anni dal loro ultimo concerto e dal loro ultimo disco, con qualche chilo in più e qualche capello in meno ma con una grinta e una forza indomabili. Ma non ci sono solo “reduci” nella grande sala: ci sono anche i giovani che sanno a memoria quella vera e propria bandiera del gruppo e di quei momenti che è 23 gennaio e che si appassionano alle ballate su Dante di Nanni che tenne testa da solo a cento fascisti e sulla indomabile militante sindacale narrata da Guthrie in The Union Maid.
Nel corso del tempo quelli del Collettivo, come molti, sono passati da una storia collettiva a una storia forse più individuale: si erano "sciolti nel movimento", contribuendo alla fondazione della Cooperativa Musicale e in seguito del Circolo giovanile "Cemento A(r)mato" e di Radio Popolare Alternativa. Poi scelte personali diverse, carriere soliste , collaborazioni a riviste, ma erano tornati ancora insieme nel 1990 a Brugnato, in un'esibizione da cui è nato un disco live ormai leggendario. Il concerto di stasera, In questa strada non ci siamo mai persi, che prende il titolo da un verso di una canzone di Red degli anni settanta, li rivede di nuovo assieme per celebrare il ricordo di Woody Guthrie e il sessantesimo anniversario della composizione di Deportee con canzoni che ricostruiscono la memoria di "quegli" anni nella chiave che è tipica di questo gruppo: una narrazione epica di grandezza e povertà, di dolore e di morte, di forza e di idealismo, di coraggio e di orgoglio.
A fare da filo conduttore fra le ballate di Guthrie e i pezzi originali del Collettivo c'è Ted Malvern, che introduce dicendo: "Non sono solo canzoni, è la nostra vita", che ricorda Syd, l'amico perduto, che racconta la genesi delle canzoni mescolandola con il racconto della storia non sempre facile del gruppo. È commovente sentire questo andare e venire, questo intrecciare in chiave personale la grande storia alle storie individuali o di gruppo, questa autobiografia fatta sul palco attraverso la musica, i ricordi, le citazioni, ma in modo quasi casto, severo: perché loro sono il Collettivo Franceschi, il gruppo che ha fatto la scelta, mai rinnegata, di stare nel movimento ma di non delegare nulla a nessuno, di decidere e di sbagliare, se occorre, sempre con la propria testa. Ecco dunque l' ironico racconto dello scontro politico con un "cantautore ultrarivoluzionario", il ricordo di un concerto alla Casa dello studente occupata dove le "star alternative" presenti furono eclissate dall'intervento del Collettivo. E poi, fuori dall'ottica commerciale della cover ma dentro quella ben più importante della storia, mescolarsi alle storie più recenti di Red e di George le poesie di Ted, le canzoni di Ewan McColl e degli Stormy Six, con le parole ispirate da Eliot de La sepoltura dei morti ("Il mese di aprile fra tutti è crudele/sui morti fiorisce il lillà"), quelle di Seeger e quelle di Dylan su cui sono cresciuti, con Ted che ci racconta come la musica del Collettivo si sia nutrita di quel grande afflato epico libertario, di quell' "Altra America", quella degli hobos e degli Wobblies, di Kerouac e Ginsberg ma anche del N.M.U., il combattivo sindacato dei minatori per cui fu scritta Which Side Are You On?, quella di Seeger e Guthrie, di Bob e Joan al Village insieme a cantare Blowin' in the Wind... 
Ma il bis, dopo gli applausi, dopo il gran battere sincopato delle mani, dopo la commozione e il ricordo, con il Collettivo e gli amici e compagni di una vita tutti schierati sul palco è ancora l'amatissima, celeberrima This Land Is Your Land, l'ultimo ricordo di Woody Guthrie, la promessa di provarci ancora a far sì che, davvero, questa terra appartenga a noi, e non ai "masters of war"...
Citando il grande poeta Walt Whitman, e una sua celebre poesia dedicata alla giovinezza, e andando perfino oltre i ricordi e la commozione e anche un po' di rabbia per quello che abbiamo dissipato, noi e loro, è proprio vero che quello splendore “una volta, una sola volta esisteva”.

Jonathan Coe, The Guardian,  September 29 2007. 


Nelle foto: il Collettivo Franceschi e Jonathan Coe

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