L'incubo dell'Herbert 9C30

 


Paolo Luporini

Questa è la famosa "màchina de l'asenòn", chiamata così da un precedente operaio tornitore che non brillava per astuzia. Neanche per me, che gli altri chiamavano "dottore", fu facile lavorarci. 

Mi piaceva perché si doveva esprimere una forza "intelligente" nello stringere le morse della piastra che fissava il pezzo. Ero prestante e mi rappresentavo a me stesso come il famoso operaio del film muto "Metropolis" di Fritz Lang. Quel film esprimeva assai bene l'atmosfera 'sotterranea' del nostro reparto. 

Quando 'risalivamo in superficie' per recarci in qualche ufficio o alla mensa venivamo colpiti da un senso di straniamento forse dovuto alla luce. Anche in quei momenti i tempi erano stretti e si doveva fare presto a mangiare e l'orologio timbratore del cottimo ci aspettava. 

Ancora adesso, che sono passati 41 anni, a volte mi sogno che mi distraggo e lavoro senza aver timbrato la bolla, perdendo così una frazione di salario. Ma il lavoro in sé, a parte la preparazione che era interessante e richiedeva abilità ed esperienza, era micidiale. 

L'asportazione del truciolo, anche in foratura, comportava pericolo e fastidio, a volte dolore quando trucioli incandescenti colpivano le poche parti nude come il viso o le mani. Io ero sempre coperto anche d'estate sebbene il caldo fosse soffocante da svenire e dovevo sempre indossare anche gli occhiali protettivi per proteggermi gli occhi, oltre che dai trucioli, anche dagli schizzi di olio emulsionabile misto ad acqua che serve per il raffreddamento degli utensili per non consumare i taglienti o le placchette in widia. 

L'acqua rimasta stagnava a lungo nel fondo della vasca e rientrava in circolo con un puzzo che irrorava gli abiti da lavoro. Le fasi di foratura erano frequenti e spesso si dovevano forare barrotti di ghisa e allora per me era una festa. Quel truciolo mi piaceva e giocavo a spezzarlo con gli scarponi. 

Quello dell'alluminio era infido, direi perfido perché non si spezzava da sé con l'avanzamento ma formava lunghe spire come un'idra e io ero terrorizzato che mi potessero tranciare i tendini delle caviglie o, peggio, le braccia, il collo, il corpo. Cercavo freneticamente di spezzarlo con il lungo gancio, assestandogli contro forti colpi. Era come un duello di cappa e spada e non avevo tregua sino alla fine della fase. Se interrompevo per maggiore sicurezza allungavo il tempo di lavorazione e avrei potuto essere richiamato dal capo oppure dagli impiegati che controllavano i tempi. 

Avrei molte storie da raccontare su quel periodo. Conto di farlo più avanti. Avrò raccontato qui solo una minima parte di quegli anni (per me pochi). 

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