GRAZIA E MERAVIGLIA

 


A ricordo di Vittorio Grandi, 
innamorato missionario della Bellezza della Matematica, 
ripubblico
l'INTRODUZIONE
all'omonimo libro ed e-book Kindle
di Paolo Luporini

Grazia e Meraviglia

Frugando alla ricerca di un documento familiare ho ritrovato le fotocopie di un bellissimo libretto, un’edizione illustrata di fattura pregevole de “Il teatro delle marionette”, un breve racconto-saggio di Heinrich von Kleist, drammaturgo, poeta e scrittore tedesco. Mi sono prima soffermato sulle immagini ma presto l’ho riletto tutto d’un fiato, in piedi davanti allo scaffale della libreria.

Riporto questo breve brano, molto significativo per me, ora.

«[…] Noi osserviamo che sempre, nel mondo organico, quanto più la riflessione si fa debole e oscura, tanto più fulgida e imperiosa campeggia la grazia. Tuttavia, come l’intersezione di due rette al di là di un punto dato, dopo aver attraversato l’infinito, si ripresenta a un tratto al di qua di tale punto, o come l’immagine di uno specchio concavo, dopo essersi allontanata nell’infinito, ricompare a un tratto vicinissima a noi, così la grazia si ripresenta una volta che la conoscenza sia passata per così dire attraverso un infinito; in modo che essa, la grazia, si rintraccia al tempo stesso, più pura che mai, in quell’umana struttura corporea che o non ha coscienza alcuna o ha una coscienza infinita, cioè nel pupazzo meccanico (la marionetta-NdA) oppure nel Dio.» «Dunque... », dissi io un poco smarrito, «dovremmo di nuovo mangiare dell’albero della conoscenza per poter ricadere nello stato dell’innocenza?» «Sicuro» fu la sua risposta; «è questo l’ultimo capitolo della storia del mondo.».

Qualche giorno dopo iniziai un lungo e impegnativo lavoro di scansione di molti negativi, foto e di tutte le mie diapositive, immagini riprese certamente più di trent’anni fa, quando usavo regolarmente la mia reflex Olympus OM1, comprata usata da mio padre per farmi un regalo estemporaneo. Questa reflex andava a sostituire la mia Ricoh 500G, una fotocamera con mirino a telemetro per la messa a fuoco, comprata con i miei risparmi.

Le foto scansite erano state scattate da entrambe queste macchine fotografiche. Alcune di esse hanno avuto una certa notorietà, nell’ambito provinciale, mentre il maggior numero di esse è rimasto sconosciuto quasi a tutti, a parte una decina di amici con i quali ne ho condivisa la visione.

Recentemente ne ho pubblicate molte su Facebook, spesso passando sopra alle carenze tecniche dovute al mio modesto dilettantismo. Ciò non toglie che il fatto di rivederle e proporle ad altri, pubblicamente, anche a possibili sconosciuti o ad appena semplici conoscenti, mi ha convinto della necessità di farlo.

Trovo che il passaggio di tutti questi anni dallo scatto di ciascuna di queste immagini abbia scandito il percorso d’infinite rette parallele che si ripresentano nuovamente a incrociare un punto distantissimo. Dopo essere rimaste così a lungo nei cassetti e trasportate più volte nei traslochi, mi si ripresentano, tanto più fulgidamente, facendomi riaffiorare la grazia che è in loro presente, la grazia che è possibile incontrare di nuovo dopo anni in cui la riflessione si era fatta debole e oscura.

La riflessione di oggi si sofferma su piccoli e grandi spunti suggeriti dalla lettura di alcuni casi clinici riportati da Oliver Sacks nel suo libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”.

Uno di questi riguardava due gemelli identici che condividevano una straordinaria abilità con i numeri. Erano diventati un fenomeno popolare perché venivano condotti spessissimo a esibirsi in pubblico. Senza aver nessuna nozione del calcolo, sapevano dire, in un range di quarantamila anni, da ventimila anni prima sino a ventimila anni dopo, in quale giorno della settimana cadeva un preciso giorno. Inoltre, sapevano dire molte cose dei giorni del loro passato, cosa avevano fatto in un determinato giorno, com’era il tempo, quali eventi, venuti a quel tempo a loro conoscenza, si erano verificati. Avevano pure una notevolissima abilità a individuare i numeri primi. Per questi avevano una vera passione, molto emozionale. Interrogati sulla loro abilità, non sapevano spiegare come facessero ma, semplicemente, ammettevano che i numeri li “vedevano” e ne assaporavano l’armonia.

Riporto un estratto dal libro citato: «Chi sia armonicamente composto», scrive Sir Thomas Browne, «trova diletto nell’armonia… e in una profonda contemplazione del Primo Compositore. Vi è in essa qualcosa della Divinità, più di quanto l’orecchio non possa scoprire; è una Lezione Geroglifica e adombrata sul Mondo intero… un frammento sensibile di quell’armonia che risuona intellettualmente nelle orecchie di Dio… L’anima… è armonica ed ha la sua più prossima simpatia con la Musica».

Sacks, più avanti, riporta da Leibniz, a proposito della Musica, quest’analogia con i numeri: «Il piacere che traiamo dalla musica viene dal contare, ma da un contare inconscio. La musica non è altro che aritmetica inconscia».

Io sostengo che ciò che ha detto Leibniz per la musica valga anche per la visione. La vista di immagini e la loro percezione, così come si fa per renderle digitali da analogiche per memorizzarle nei computer e diffonderle nel web, per condividerle rendendole riproducibili per un più vasto numero di persone, consiste in una conversione numerica.

Il funzionamento del computer e del nostro cervello, basandosi su impulsi elettrici, sono basati su un contrasto elementare: assenza o presenza d’impulso elettrico. Il codice binario viene organizzato in modo che le informazioni della visione occupino il minor numero di bit compatibilmente con una definizione e un’accuratezza accettabile. Nel computer, per una rappresentazione raster, perciò, l’immagine è rappresentata da una matrice di punti, i pixel. I valori memorizzati per le immagini in bianco e nero rappresentano la scala dei toni di grigio.

Nelle immagini a colori viene memorizzato il livello d’intensità dei colori fondamentali (nel modello di colore RGB, uno dei più usati, sono tre: rosso, verde e blu).

La visione del nostro cervello, filtrata dall’organo della vista, presuppone meccanismi molto più complessi di quelli del processo fotografico digitale. Dice Wikipedia: “La vista è generata dalla luce che colpisce la retina dell'occhio. I fotorecettori nella retina trasducono lo stimolo sensoriale della luce in un segnale nervoso elettrico che viene inviato alla corteccia visiva nel lobo occipitale. Ciò che viene visto dal campo visivo sinistro viene ricevuto sul lato destro di ciascuna retina (e viceversa) e passa attraverso il nervo ottico fino a quando alcune informazioni cambiano lato, in modo che tutte le informazioni su un lato del campo visivo passino attraverso tratti sul lato opposto del cervello. I nervi raggiungono il cervello nel corpo genicolato laterale e viaggiano attraverso la via genicolo-calcarina per raggiungere la corteccia visiva.”.

Non sappiamo le misure con cui vengono trasdotti gli stimoli luminosi e i suoi colori in valori numerici binari e in stimoli elettrici ma, valutando l’enormità delle grandezze per i computer, possiamo immaginarle molto più grandi. Queste informazioni visive tridimensionali, grazie alla visione binoculare, vengono continuamente utilizzate per le normali azioni quotidiane come la coordinazione, l’equilibrio, la deambulazione, le attività manuali, ecc. I tempi di elaborazione sono rapidissimi e dinamici. Prevedono rapidi processi di feed-back che permettono, insieme a tutti gli altri sensi, di aggiornare costantemente le informazioni per permettere la motorietà e la coscienza della realtà con emozioni, sentimenti, pensiero eterocettivo e propriocettivo.

La profonda ignoranza che la scienza ancora ha sul suo strumento principale di conoscenza ci può portare all’ammirazione della Meraviglia.

I gemelli straordinari, benché deficienti, udivano la sinfonia del mondo, ma l’udivano esclusivamente sotto forma di numeri che vedevano con una visione interna.

Il senso dell’armonia è principalmente intellettuale, secondo i più, ma per me, come per Sacks, non ci può essere niente d’intellettuale che non possa essere prima di tutto sensibile e personale. Non si può sentire nulla che non sia collegato o collegabile a se stessi.

Le mie foto sono, per me, delle amiche che evocano la mia passione con cui ho perseguito una velleità di espressione artistica e d’interpretazione della realtà rappresentata. Inquadrature, colore e contrasto, il gioco con la luce, composizione dell’immagine, padronanza del linguaggio retorico della fotografia, sono collegati a filo diretto con la mia passione.

Ho sempre perseguito una ricerca di conoscenza, attraverso la mia ricerca fotografica. Una ricerca di senso, come quella che si può tentare per comprendere il cuore degli uomini o perché splendono le stelle.

Senza saperlo allora, ma lo comprendo oggi, ricercavo la potenza pitagorica per la quale il numero domina il flusso degli eventi. Questo pensiero è stato espresso prima di me da Bertrand Russell nel prologo alla sua Autobiografia.

Ciascuna delle mie foto, l’immagine di ognuna di esse, è rimasta nascosta per questi trent’anni in qualche recesso della memoria nascosta e rimossa, ma la loro nuova visione, evocata dal supporto della pellicola da me conservata nei cassetti, mi ha fatto dire a tutte, una per una: «Ti riconosco!».

Ogni immagine, a suo modo e per suo conto, funge da contrassegno per idee, persone, luoghi, parole o altro e per Kurt Gödel i contrassegni numerici renderebbero possibile una «aritmetizzazione» o una «numerizzazione» del mondo.

Io non so dire se i numeri siano solo nella nostra mente o se compongano il mondo intero.

Propendo a credere questa seconda ipotesi ma la meditazione numerica del mondo esterno e di quello personale mi fa pensare che il Logos che ci ha prodotto come fenomeno sia ora in noi che produciamo il mondo.

Lo ricreiamo e ne veniamo ricreati in una strana ma precisa e meravigliosa comunicazione.


PL 


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