FIABA MORESCA


Rudi Veo

C’era un tempo che avevo vent’anni, anno più anno meno, e quando
arrivava l’estate rallentavo, rallentavamo lo scorrere del tempo, che in quegli anni era già piuttosto pigro di suo, rispetto al vivere di questi tempi.
Non c’era alcuna frenesia nel dover essere da qualche parte, in qualche particolare località, in qualche  discoteca o tristezze del genere.
L’estate era starsene a intercettare la brezza, nel dimenticare di esistere per attimi infiniti guardando la profondità della volta del cielo, non raccapezzandoci cercando di capire quante sfumature di galassie ci apparissero  o quanto fossimo catturati dal pulsare di qualche stella sconosciuta che nel guardarla, la nostra pupilla riusciva a dilatarla ulteriormente, così come avvertivamo dilatare e rallentare lo scorrere di quella convenzione che chiamiamo Tempo.
L’estate era una sospensione, era una diserzione, era ignorare qualcosa che ci veniva imposta, sempre che dessimo importanza a obblighi e doveri.
C’era un tempo che avevo vent’anni, anno più anno meno, e non ero solo e non eravamo soli, eravamo un grande fluire, di teste e corpi, pulsanti di desideri, di sogni, di  tracce e piste e sentieri che non avevano alcuna necessità di condurci da qualche parte, perché la meta a volte non sapevamo nemmeno quale fosse, le volgevamo uno sguardo sfuggente, eravamo noi, casomai, la meta, con il nostro guardare il cielo o nel sonnecchiare in una spiaggia, nelle risate che aprivano ad orizzonti lontani, carichi di saggezze che poco avevano a che fare con l’occidente convenzionale che ci avvolgeva.
L’estate era un mare infinito, che portava a sud e a oriente, era una rotta seguita da millenni, un incontro di storie e racconti, che sono il vero senso della nostra esistenza.

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