UNO ZAINO A BUCHENWALD

Uno zaino a Buchenwald
Paolo Luporini
27 gennaio 2022

La Giornata della Memoria è stata istituita il primo novembre del 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ma era stata preceduta, il 24 gennaio dello stesso anno, da una celebrazione per il sessantesimo della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz.
Noi, ragazzi del ’55, eravamo nati solo dieci anni dopo quei fatti. Non se ne parlava ai ragazzi, in casa, ma c’era già qualche professore, in classe, che accennava qualche giudizio, esulando dai programmi di Storia del Ministero, che arrivavano a malapena a parlarci, alla fine della Terza Media, della Prima Guerra Mondiale, celebrando il 4 novembre come un giorno di Vittoria. Io ero un ragazzo appassionato alla Storia, e venivo a sapere dei fatti recenti della Seconda Guerra Mondiale dai numeri di Storia Illustrata che mio zio Emilio mi passava dopo averli letti lui. Per i miei genitori, questa decisione del fratello e del cognato non era ostacolata ma era un modo per evitare che io facessi loro più domande su dei fatti di cui loro, durante la guerra, neppure vennero a conoscenza, seppure ne avessero vissuti alcuni anche sulla propria pelle. Era un dolore parlarne. Anche per me lo era, apprenderli. Ma ero convinto che si dovessero sapere e scelsi, così, di sostituire una serata di fuoco di campo con scenette buffe e divertenti molto leggere con una Veglia scout durante un’uscita invernale con pernottamento. La preparai, con l’aiuto dei miei squadriglieri, con impegno e precisione, a beneficio di tutto il Riparto Nord-Ovest che vi avrebbe assistito sabato 28 gennaio 1970, al Santuario dell’Agostina. Ci ritrovammo in sede, con gli zaini pronti, e partimmo con la corriera da Piazza Chiodo. Ci facemmo una bella scarpinata nell’umidità di un giorno di pioggia, con il poncho, chi ce l’aveva. Ci sistemammo nel Santuario di cui avevamo le chiavi, senza riscaldamento, con rispetto delle immagini sacre e del tabernacolo, spostando qualche panca. Ci coprimmo molto bene anche con coperte o con i sacchi a pelo sulle spalle, cercando di far asciugare le giacche a vento inzuppate. Dopo una breve cena a base di scatolette di tonno e pure piselli, dopo un breve relax in cui noi Falchi ci ripassavamo le parti, iniziammo la Veglia Scout richiedendo il silenzio. C’erano brani drammatici in cui si ripercorrevano i fatti delle Leggi razziali, della vita degli ebrei che dovevano segnalarsi indossando la stella di David, poi gli arresti, le fughe, il trasporto nei vagoni bestiame, l’arrivo al lager, le selezioni tra camere a gas e i lavori forzati come schiavi fino alla consunzione e alla morte, tra punizioni, reticolati e forche con cavi d’acciaio e uncini.
Uno di questi brani agghiaccianti era una poesia sia delicata sia drammatica di Joyce Lussu

"Scarpette Rosse", di Joyce Lussu 

C'è un paio di scarpette rosse 
numero ventiquattro 
quasi nuove: 
sulla suola interna si vede 
ancora la marca di fabbrica 
Schulze Monaco 
c'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio 
di scarpette infantili 
a Buchenwald 
più in là c'è un mucchio di riccioli biondi 
di ciocche nere e castane 
a Buchenwald 
servivano a far coperte per i soldati 
non si sprecava nulla 
e i bimbi li spogliavano e li radevano 
prima di spingerli nelle camere a gas 
c'è un paio di scarpette rosse 
di scarpette rosse per la domenica 
a Buchenwald 
erano di un bimbo di tre anni 
forse di tre anni e mezzo 
chissà di che colore erano gli occhi 
bruciati nei forni 
ma il suo pianto lo possiamo immaginare 
si sa come piangono i bambini 
anche i suoi piedini 
li possiamo immaginare 
scarpa numero ventiquattro 
per l'eternità 
perché i piedini dei bambini morti 
non crescono 
c'è un paio di scarpette rosse 
a Buchenwald 
quasi nuove 
perché i piedini dei bambini morti 
non consumano le suole".

Qui è tutt’intera, questa poesia, che a distanza di tanti anni è ancora molto bella e non contiene nessuna retorica. Noi scout eravamo molto commossi e partecipi a questa Veglia che conteneva molte novità per il nostro stile scout ma richiamava quello di un certo teatro di denuncia che in quegli anni era molto attuale. Tutti attenti e commossi, quindi, empatici per le vittime ebree, specialmente per quel bambino che indossava le scarpette rosse numero ventiquattro, e che ora erano in cima al mucchio di piccole scarpine di tanti altri bimbi con riccioli biondi, castani, neri. 
Ecco che a uno di noi venne in mente di recuperare una cosa nel suo zaino, per lui indispensabile, ma, nel mucchio, non lo ritrovava, e chiese, come fra sé: “Ma dov’è finito il mio zaino???”. In quello stesso momento, il lettore della Veglia gli risponde: “… A Buchenwald”.
Scoppiammo in una grossa risata liberatoria, perché l’Olocausto non si ripetesse mai più.
Ho fatto il conto, questa antesignana Giornata della Memoria scout della Squadriglia Falchi ebbe luogo esattamente 18961 giorni fa.

GLI SCOUT racconti ASCI, AGI, AGESCI e MASCI 


____________

A proposito di Giornata della Memoria e Scautismo . Oggi 27 Gennaio 2024 propongo questo articolo pubblicato su Alere Flammam (rivista indipendente di storia dello scautismo direttore responsabile Cristina Torrisi) a firma di Agostino Volta .

Un racconto per il fuoco di bivacco e non solo, riguardante una storia realmente accaduta che inizia il 16 ottobre del 1943 con la deportazione degli ebrei romani e si conclude, una sera d' estate nel 1969,  con la consegna di un cappellone scout quale gesto di riconcliazione.


Attraverso questo ricordo di Gianfranco Di Veroli (oggi il figlio  Daniele Di Veroli ne custodisce la memoria)  raccontiamo la storia realmente accaduta riguardante la deportazione di uno scout ebreo del Cngei e anni dopo del gesto di riconciliazione da parte del figlio Gianfranco Di Veroli.
[Salvatore Zappardino]


Commenti

Post popolari in questo blog

"Allora, ero lì, in piazza Brin"

Martedì 9 aprile con i cuoriinfiamme

TEMPI DEI CUORI TRASPARENTI