Cambiare la Vita Cambiare la Società
Sono
convinto che un fenomeno non possa essere considerato da un punto di vista generale
se non se ne sono stati analizzati molti casi particolari.
Vorrei
qui fornire il mio punto di vista personale sui nostri “formidabili anni” in
cui, come scrisse Abbie Hoffman nella prefazione di Anti-disciplinary protest,
“Eravamo giovani, eravamo avventati, arroganti, stupidi, testardi. E avevamo
ragione! Non rimpiango niente.”.
Io
provenivo da una famiglia cattolica pragmatica e dall’esperienza dello
scoutismo cattolico dei primi anni ’70, con l’esempio dei capi che facevano la
loro scelta politica ispirandosi all’ideale del motto “Servire”.
Era
l’anno del patto associativo che lasciava la
libertà di scegliere l’impegno sociale e quindi politico come parte
dell’impegno più generale del servizio nella carità e ne imponeva quasi
l’obbligo.
Lo
scoutismo, nel gruppo Spezia 1 dell’A.S.C.I.,
di cui facevo parte, ci aveva educato allo spirito critico e al dubbio che è
utile ad una buona scelta. Perciò, avendo sperimentato la contestazione già dal
primo anno di liceo (era il ’68) con le prime assemblee d’istituto e uno
sciopero bianco (così avevamo chiamato l’occupazione dell’istituto effettuata
di concerto con la maggioranza dei professori), al momento dell’iscrizione
all’università mi trovai a Genova a contatto con il volantinaggio e le
iniziative del gruppo di Lotta Comunista.
Frequentai
alcune loro iniziative ed ero vicino ad entrarvi, anche perché un mio carissimo
amico mi propose di farlo insieme. Però io rimandai e pure lui prese un’altra
strada.
Mi
iscrissi al corso delle 150 ore
sulla salute in fabbrica che coinvolgeva lavoratori di varie fabbriche
genovesi. Avevano diritto alla frequenza retribuita e anziché utilizzare questo
beneficio per una progressione scolastica individuale lo spendevano
nell’interesse di tutti gli altri lavoratori, formandosi come esperti delle
nocività del ciclo di lavoro.
Gli
studenti ed alcuni professori universitari partecipavano ai gruppi di lavoro,
alle conferenze e alle lezioni e preparavano materiale divulgativo da
diffondere tra i lavoratori.
Io
seguii il corso sulle polveri e i fumi, cause nocive che avrei dovuto conoscere
per il mio studio di Medicina (volevo specializzarmi in otorinolaringoiatria).
Quest’esperienza
mi legò più in concreto al mondo operaio e alla realtà dell’ambiente di lavoro,
al di là di quello che poteva esserne il mito per noi studenti. Scelsi quindi,
per un ideale di giustizia, di schierarmi a fianco degli oppressi.
Cominciai
a studiare libri marxisti e a leggere quotidiani e riviste per orientarmi ad
una scelta politica. Trovai piena condivisione nella linea espressa nel
giornale Unità operaia
e nei documenti dell’ultimo congresso della Lega dei comunisti,
un piccolo gruppo di marxisti-leninisti attivo in Toscana con sedi a Roma,
Verona e La Spezia.
Cominciai
a frequentarne le riunioni e mi ritrovai a diffonderne il giornale alla Fiera
di San Giuseppe. Mi iscrissi e ne diventai un militante, occupandomi in gran
parte di tematiche sociali.
Avevo
il mio gruppo, i miei compagni. Soddisfacevo così il bisogno comunitario di cui
un giovane necessita.
A
parte i momenti in cui ero con la fidanzata, che era liberale, ero quasi sempre
con i compagni. Anche alla sera mi ritrovavo al Bar Roma, di lato alla Piazza del Mercato e a fianco del cinema Cozzani. Vi si incontravano quasi tutti
gli extraparlamentari insieme a iscritti del PCI, intellettuali spezzini,
artisti, cani sciolti, frikkettoni. Di lì molte volte si partiva per
l’affissione dei nostri manifesti oppure si prendeva un caffè prima della
riunione o si decideva di partecipare ad un cineforum o di spostarci in casa di
uno di noi per raccontarci aneddoti, ridere, scherzare e suonare e cantare le
nostre canzoni.
Io
disponevo allora di una moto Gilera 125
e di una Ford Escort 1100 color verde
uovo di papera con cui facevo speakeraggio propagandando le nostre iniziative
politiche. Le spese di questi giri erano sostenute dalla mia famiglia
democristiana.
Una
delle attività sociali di cui mi occupavo era in primis la partecipazione alle
attività del consiglio di quartiere di Piazza Brin, di cui mi piacevano molto
le iniziative culturali. Conobbi lì Sergio Fregoso,
Renzo Dadà,
Maurizio Maggiani,
Gianni Iannelli, Pietro Bellani.
Iniziai
ad usare la macchina fotografica con cui scattai le foto che correderanno il
libro Cuori in fiamme. L’avevo sempre
con me, in tasca dell’eskimo, al collo o nel cruscotto della Ford.
A
livello nazionale venne l’autoriduzione
delle bollette telefoniche. Funzionava operando il ricalcolo dei corrispettivi
al netto degli aumenti contestati. A livello cittadino l’autoriduzione ebbe una
grande partecipazione, così come poi il mercatino rosso
in cui si vendette della carne in Piazza Brin. La carne era stata comprata
direttamente in un macello e, escludendo grossisti e dettaglianti, poté essere
venduta alla metà del suo prezzo nelle macellerie.
La
lotta per il diritto alla casa era molto importante in quegli anni e la
promulgazione della legge sull’equo canone rendeva necessaria la sua
divulgazione per una corretta e generale applicazione. Io e Federico Paganini (Lucio)
fondammo a Spezia dietro sua iniziativa l’Unione Inquilini,
studiandone gli aspetti legali con l’aiuto di un avvocato che si prestò ad
istruirci. Aprimmo uno sportello nella sede di via del Prione della Lega dei
Comunisti e vi davamo consulenza ad inquilini (e persino proprietari!) che
facevano la fila sulle scale anguste.
Infine
fu aperta la sezione della Lega dei Comunisti di Mazzetta, con sede in via
Lunigiana dove poi, quando questa era diventata di Democrazia Proletaria, dopo
qualche anno fu insediata Radio Popolare
Alternativa, la radio spezzina del movimento.
Il
contatto con il mondo operaio continuai a tenerlo perché mi occupai di
propagandare le nostre proposte per il rinnovo del contratto con i ferrovieri,
i metalmeccanici e i lapidei. Settimanalmente c’era almeno un volantinaggio o
la vendita del “quotidiano dei
lavoratori”
davanti a una fabbrica ed eravamo conosciuti dagli operai, tanto che un anno,
d’estate, fui assunto in una ditta grazie ad un sindacalista del consiglio di
fabbrica che mi presentò al padroncino.
Lavorai
come manovale e come aiuto tubista da Sgorbini
e imparai che otto ore, anche se sembran poche, meritano di provare a
lavorarle. Poi fui spostato alla centrale Enel
che a quel tempo bruciava carbone e dovetti lavorare a turno a cambiare i
filtri di uno dei forni.
Fu
un lavoro davvero schifoso e nocivo e la settimana in cui dovemmo fare il turno
di notte fu massacrante. Non ressi. Mi licenziai dopo un’altra settimana e
ricominciai a studiare.
Mi
meraviglio di come molti operai possano lavorare tutta una vita a turni. A loro
va il mio rispetto ma soprattutto la pietà e provo un senso d’impotenza verso
l’ingiustizia che morde le loro carni. All’Enel
di Spezia non si brucia più carbone ma nel mondo esistono ancora lavori
massacranti e schifosamente nocivi che rasentano la schiavitù e perciò non
esiste neppure oggi giustizia.
Il
richiamo al mondo non è casuale perché mi sentivo suo cittadino e solidale con
tutti i popoli oppressi e gli sfruttati. Non ho ancora smesso di pensarla così
e di sperare che il melting pot si
completi. I fatti mi danno ragione.
Anche
l’economia livellerà i popoli come effetto di questa pandemia ma non è certo
che possa farlo in modo orizzontale. Infatti, per il momento, il divario tra
estremamente ricchi e poverissimi è esagerato, scandaloso e disumano. Però la
coscienza dei lavoratori è fuorviata da quelle che sono le necessità quotidiane
o i piccoli privilegi la cui difesa cozza contro le ingiustizie patite da
miseri.
Oggi
i problemi mondiali si vorrebbero arginati da frontiere indifendibili o dai
bombardamenti e dalle guerre.
L’ignoranza
della storia e dei suoi meccanismi porta danni gravissimi perché non se ne
tiene conto. Politici e militari ragionano solo di tattica e non sanno fare
strategie di ampio respiro e lungo periodo.
Questo
millennio non pare essere iniziato come epoca di statisti o teorici. E’
iniziato con l’attacco alle torri gemelle, attacco causato da almeno un
millennio di confronto tra culture e domini contrapposti.
Lo
stato di guerra permanente che colpisce civili a migliaia dappertutto nel
mondo, negli scenari di guerra e terrorismo, è l’effetto della sconfitta delle
masse popolari che hanno relegato nelle mani di pochi sconsiderati le scelte
più gravi.
Il
comportamento di molti leader nazionali in questa pandemia ha favorito gli
untori e il virus facendo ipotizzare un intento di depopolazione. Questa
pandemia è un evento che avrebbe potuto portare a buoni cambiamenti verso una
società più giusta e rispettosa dell’ambiente ma gli uomini non vi sono ancora
pronti e così temo che i disastri continueranno.
La
fine del movimento del ’77,
causata dal collasso di Lotta Continua, dal terrorismo
brigatista ed infine culminata con l’assassinio del presidente della DC Aldo Moro, in Italia ha coinciso con il
ritorno nel privato di masse di ex militanti, giovani ex simpatizzanti,
femministe e operai o intellettuali che si sono ritirati dall’impegno e hanno
molte volte persino rinunciato ad informarsi (senza contare tutti quelli che
hanno saltato il fosso).
In
molte altre parti del mondo questo ruolo l’hanno avuto l’economia, con la
crisi, oppure la repressione o il crollo del socialismo reale dei paesi
comunisti. Le rivolte, nei paesi arabi, non avrebbero, alla fine, portato nulla
di buono. Ora in Europa ritornano il nazionalismo e la xenofobia, che
sembravano sepolti con le ceneri di Hitler.
Hanno
preso campo da tempo la disinformazione e la cultura individualistica
edonistica del consumo per la quale persone e cose sono diventate merci.
Al
contrario, laddove si possono trovare isole in cui si pratica la solidarietà,
si può coltivare la speranza in un mondo migliore.
Quando
feci la mia scelta di militare in un gruppo politico lo feci perché mosso dal
principio di voler fare giustizia perché ritenevo che tutti noi uomini fossimo
nati uguali e pertanto avessimo uguali diritti e dovessimo avere pari
opportunità e remunerazione e che il contributo di ciascuno alla società
dovesse venire in misura della coscienza personale e delle forze e doti
individuali.
Alla
luce dell’esperienza di tutti questi anni di vita penso invece che nasciamo già
molto diversi.
Ognuno
di noi è unico.
L’ambiente
familiare e sociale ci fanno diversi per educazione e anche l’intelligenza e il
fisico si sviluppano in modo differente in base agli stimoli, alla nutrizione,
all’allenamento.
La
storia personale ci condiziona eppure dobbiamo liberarci dalla gabbia limitante
delle nostre origini per scegliere di non essere egoisti ma di aiutare gli
altri a fare lo stesso.
Questa
pandemia, al pari della Peste
di
Orano di Albert Camus, c’insegna che, di fronte
all’ineluttabilità, al rischio totale, l’unica scelta possibile è l’Aiuto. Il
paradosso è che per molti l’aiuto solidale è la distanza, mentre alcuni devono servire
i malati, rischiando il proprio contagio.
L’amore circolare
è un amore contagioso che viene propagato perché supera l’equazione bilaterale
del “do ut des” (do affinché tu mi
dia).
Il
miglior aiuto che ci viene dato viene da chi ci è maestro.
Possiamo
anche noi aiutare gli altri facendoli artefici della loro liberazione.
Ognuno
ha un proprio cammino.
Necessaria
è la speranza, per iniziare e continuare i propri passi; utile è il dubbio;
cara al cuore la fiducia di camminare nella giusta direzione; prezioso l’aiuto
di chi si affianca; doveroso fornirlo a chi è più indietro.
Con
la metafora scout della Strada chiudo
il cerchio perché “Scout una volta, scout sempre!”.
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