Il barbiere dell'ospedale


Oggi scrivo una nuova paginetta e la inizio con un Tampone molecolare negativo. È dal ventuno di febbraio che ci ballo, con questo mio coronavirus, che mi lascia qualche giorno ancora per guarire dalla polmonite bilaterale. Sono ricoverato al primo piano covid di medicina gialla a Sarzana, dove ho incontrato persone speciali, molto professionali ed empatiche anche se i nostri bisogni ci facevano esprimere in numerose richieste. Dovranno sopportarmi ancora per qualche poco giorno, spero. Non voglio dirvi dei momenti più duri, in cui si è incrinata la speranza, che ha lasciato il campo all'abbandono. L'ho abbandonata ma qualcuno l'ha raccolta. Medici, studiosi che si sono preparati per lunghi anni per il salvamento. Soldi e anni spesi bene, dal mio punto di vista. Ringrazio la comunità scientifica internazionale, le università, i ministeri, il Servizio Sanitario Nazionale e i lavoratori che l'hanno creato e difeso contro gli interessi privati. Sia un punto fermo per tutti. Sui social ci sono pagine e gruppi con finalità di sostegno ma la scelta politica va sostenuta in tutte le occasioni nelle quali sia previsto il potenziamento e la difesa. Chiudo il siparietto e passo a un ricordo che quest'esperienza mi ha fatto risalire alla mente. Il barbiere dell'ospedale. Al Sant'Andrea c'èra un omino che girava i reparti maschili ad un'ora molto mattutina con uno sgabelletto e una cassetta con i suoi strumenti. Io presumevo di fare a meno dei suoi servigi, ma mia zia Maria non era d'accordo. Esperienza, sensibilità sociale. Il barbiere dell'ospedale era l'ultimo di tutta una scala di lavoratori, un artigiano senza difese sociali. La zia volle pagarmi le barbe che mi sarei fatto fare. L'accontentai e ne trovai un sollievo che stavolta mi è largamente mancato. Nell'interclassismo degli anni settanta c'èra più umanità che in questi tempi liberisti. Addio, barbiere dell'ospedale!
PL

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