Genova non è in Liguria

 



Paolo Luporini


E pure l’Università è arrivata! Dopo una lunghissima estate, con esperienze scout, viaggi, mare, divertimenti, non sprecata a studiare (a quel tempo a Medicina non c’era il numero chiuso!), poiché la decisione dell’indirizzo di studi era presa, Medicina e Chirurgia, con l’indicazione di don Francesco Griggio per una camera all’Istituto Pavoniano Fassicomo di Genova, presi il treno più volte con il mio futuro compagno di camera Vincenzo, per tutti “Enzo”. Prendemmo accordi e pagammo la prima rata di affitto per la camera, una stanza austera e molto sobria che aveva il vantaggio di avere un’entrata separata dall’Istituto che ci consentiva di rientrare anche abbastanza tardi la sera. Era in un’ala distaccata del complesso di edifici, si può vedere nella parte sinistra della foto.

Il primo giorno, il direttore ci fece visitare gran parte dell’istituto, soprattutto l’officina con i torni e le fresatrici, dove molti ragazzi avevano imparato un mestiere. C’erano pure altri laboratori meccanici e artigianali di altro genere come falegnamerie, telai e macchine per i calzolai. Era una struttura grandissima diretta da religiosi che come i salesiani avevano a cuore la formazione professionale dei ragazzi e dei giovani al fine di farne cittadini utili allontanandoli così dalla strada e dalla delinquenza. Alla fine della visita ci lasciò liberi nel cortile, dove alcuni di quei giovani giocavano. Gironzolammo a vuoto ma senza essere coinvolti da nessuno di quei gruppi e presto tornammo al treno.

Non capitò più di frequentare quel cortile. Era come se avessimo affittato una camera in un qualsiasi condominio aperto e chiuso da un portiere. Enzo portò a Genova la sua Vespa 150 gialla alla quale aveva montato il parabrezza in previsione dell’incipiente inverno. A novembre iniziammo le prime lezioni, lui alla facoltà di Matematica, io a Istologia ed Embriologia, con il prof. Capurro, che ci fece tutti ridere perché, parlando della mitosi cellulare, disse che la cellula (“la célula”) si “sépara”. Per tutti era una pronuncia ridicola. Alla nostra risata, Capurro reagì così: “Se siete ignoranti e non avete mai sentito questa pronuncia, andate a controllare su un dizionario!”. Aveva ragione!

Capii allora quanto l’uomo, specialmente il ragazzo, è profondamente ignorante, talmente enorme è il numero di cose che non si sanno, a confronto con le poche che siamo convinti di sapere ma che sono spesso sbagliate.

Proseguendo le lezioni non solo d’Istologia, ma anche di Biologia e Zoologia, di Chimica Generale e Organica, di Genetica Umana, di Fisica e di Anatomia Umana, trovai molto gusto alle novità che imparavo e la montagna di concetti e nozioni che apprendevo non mi spaventava, anzi mi catturava e morivo dalla voglia di saperne sempre di più. Quegli studi mi furono molto utili per avermi dato la curiosità della ricerca, la tenacia nell’apprendere senza fermarsi agli ostacoli e una motivazione pratica al mio cercare. Ero fermo nel mio intento di diventare un buon medico per aiutare i malati perché considerai allora, come maggiormente adesso, che la salute è il bene più importante.

Poiché lo è per l’individuo, ma anche per una società, lo è per le aziende, per una città, per una nazione, per i continenti, come si è imparato ora nella pandemia. Sinché anche un solo continente soffre, tipo l’Africa, neanche gli altri possono sentirsi al sicuro, per quanti muri e cordoni sanitari si possano innalzare.

Così presi una coscienza sociale e il prossimo non era per me solo un individuo, ma pure la collettività e non era solo un povero, un malato, ma pure lo erano tutti gli emarginati, gli oppressi, le classi sfruttate i cui individui sono costretti a vendere, insieme al lavoro, pure la salute e il rischio della vita.

Infortuni e malattie professionali erano un prezzo da pagare per conquistare un salario che a malapena consentiva di andare avanti ma senza possibilità di uscire dal tunnel dell’alienazione e dalla svendita delle braccia insieme ai polmoni, agli occhi, con il rischio dei tumori, della silicosi, dell’asbestosi, degli avvelenamenti, degli schiacciamenti, delle ferite, ecc.

Venni a conoscere questi pericoli con un corso delle 150 ore, realizzato in collaborazione con i sindacati unitari CGIL, CISL, UIL, FLM, Università (Facoltà di Medicina e Chirurgia, Chimica, Fisica, Biologia, Ingegneria), con lavoratori, professori e studenti.

Lo Statuto dei Lavoratori, una legge dello stato ottenuta dalle lotte dei lavoratori, prevede un monte di 150 ore che i lavoratori possono destinare, retribuiti, allo studio. In molti casi il monte ore è utilizzato per conseguire la licenza media, un diploma e a volte una laurea, quasi sempre individualmente. Nel caso di quell’anno, a Genova, i lavoratori, spesso delegati dei Consigli di Fabbrica, destinarono le loro ore annuali a uno studio collettivo nel Seminario di Medicina e Lavoro, in cui si analizzavano le cause di malattie professionali al fine di giungere a una sintesi e di proporre una soluzione per la Salute sul lavoro.

Individuammo un ambiente di lavoro e il gruppo di lavoratori che vi operava. Nell’ambiente di lavoro erano presenti agenti di rischio alle quali il gruppo di lavoro era sottoposto e che il gruppo di lavoratori doveva analizzare e discutere per cambiare l’organizzazione del lavoro. Agenti di rischio come il cottimo, con i ritmi, le operazioni ripetute, le posizioni disagevoli, la fatica, l’illuminazione, il rumore, erano altrettanto nocivi come i fumi, le polveri, le radiazioni, la temperatura, gli elementi tossici. Ci fu un momento in cui decisi che la mia specializzazione futura sarebbe stata Otorinolaringoiatria. Invece il destino volle che diventassi operatore di macchine utensili, tornitore, e che lavorassi a cottimo, un destino che volevo scongiurare per tutti ma che colpì me in prima persona. Condivisi con tutti quegli operai che mi mettevano in guardia da tutti quei pericoli la condizione di sfruttamento del lavoro salariato che mi consentiva di costituire un mio nucleo famigliare come tutti loro, al prezzo d’infortuni e di danni che avrebbero avuto qualche conseguenza negli anni futuri. Ma questa è un’altra storia! Se interessasse, ne parlerò in un’altra occasione. Qui è dove ne ho già un po’ parlato: L'incubo dell'Herbert 9C30 .

Il punto nodale di tutta questa fondamentale esperienza è che in seguito a quest’opportunità presi la scelta d’impegnarmi nella politica attiva e scrutai a Genova tra i gruppi che mi sembrarono più impegnati nell’ambiente universitario e studentesco.

Ma prima una premessa di tipo religioso.

Ero credente e l’esperienza dello scoutismo cattolico mi aveva rafforzato in una scelta in cui ero già radicato dalla nascita, essendo cresciuto in una famiglia di credenti attivi anche in politica e caritatevoli nella pratica di ogni giorno. Ho frequentato le sacrestie anche come chierichetto, i cori nei pueri cantores, gli oratori e le adunanze come aspirante di Azione Cattolica, e poi gli scout cattolici. Questi ultimi mi avevano aperto gli occhi sulla realtà del mondo terreno, facendomi vedere le sofferenze e le disparità a danno degli oppressi. Rifuggii dai democristiani, che dividevo tra illusi e ipocriti, presi le distanze dal loro clientelismo e dalla corruzione, mettendoci dentro le trame della strategia della tensione e la collusione con i neofascisti, gli imperialisti americani, i franchisti, i colonnelli greci, i golpisti cileni e sudamericani. Avevo molte informazioni e mi formavo una coscienza solidale che mettevo in pratica nel Servizio che il clan del mio gruppo SP1 mi proponeva. Con il mio compagno di stanza Enzo, anche lui scout, e con altri tre, due scout e un operaio, avevamo creato una comunità di preghiera in cui mettevamo in comune anche i nostri risparmi per aiutare l’operaio disoccupato che doveva mandare avanti la famiglia. Ci trovavamo per recitare la Liturgia delle Ore tutte le volte che ce n’era l’occasione per farlo insieme e la recitavamo per conto nostro o in gruppi di due quando eravamo separati. Partecipavamo alla S. Messa tutti i giorni con la Santa Comunione che ci faceva sentire uniti tra noi, pure a distanza, e con tutta la Chiesa. Enzo ed io, a Genova, recitavamo le Lodi alla Casa dello Studente nella piccola Cappella insieme con altri studenti. Molti di questi erano di Comunione e Liberazione, l’allora già discusso movimento creato da don Giussani, che gli scandali di Formigoni disvelarono completamente come associazione a fini di potere e di lucro.

È una fortuna che non abbia simpatizzato con quel gruppo politico-religioso. Mi sono mantenuto laico e mi sono trovato spesso a Mensa, in Corso Gastaldi, a leggere tutti i volantini che venivano diffusi all’ingresso. Erano molti i loro argomenti, la questione palestinese, la Spagna franchista, il Cile, il Vietnam, ma anche il carovita, le spese per gli studi universitari, il presalario, il caro libri.

Nella Casa dello Studente di Corso Gastaldi nell’occupazione tedesca erano stati rinchiusi, torturati e uccisi molti partigiani, disertori, uomini, donne, sacerdoti. Patrioti che spesso erano stati lì impiccati con il cavo d’acciaio o dei ganci. Tutto questo lavorava in me e ammiravo i compagni di Lotta Comunista che vedevo i più attivi e numerosi, sempre presenti e con argomentazioni precise e chiare che sortivano da una ferrea preparazione teorica. Anche quando tornavo a Spezia, mi trovavo con un altro amico, scout anche lui, alle loro iniziative. Lui, a un certo punto, mi disse una frase; «Sarebbe bello, Paolo, se, dopo essere amici e fratelli scout, ci trovassimo pure compagni in “Lotta” (Lotta Comunista)… ». Senza quasi pensarci, gli dissi che ero incerto, non volevo sbilanciarmi, e così involontariamente lo smontai, tanto che lui decise di entrare negli universitari del PCI ed io dirottai verso la Lega dei Comunisti, un gruppuscolo di marxisti-leninisti presente soprattutto in Toscana e poi a Roma, Verona, La Spezia e scarsamente altrove. Fu una valutazione poco considerata che mi condizionò la vita per gli anni successivi. Restando a Genova per la preparazione degli esami e per frequentare esercitazioni e lezioni, seguii l’andamento di quel piccolo gruppo nella fusione con Avanguardia Operaia e la creazione di Democrazia Proletaria.

Ecco a cosa mi aveva portato la mia simpatia per i Cristiani per il Socialismo che avevano formato la lista Movimento Popolare dei Lavoratori, che non aveva avuto successo alle elezioni per il Parlamento.

Per via del mio impegno militante nella sinistra rivoluzionaria non mi laureai, avendo perso molto tempo che avrei dovuto dedicare agli studi. Anche la vocazione per la medicina era scemata, avendo saputo dei molti errori impuniti dei chirurghi che come casta si chiudeva a riccio in difesa dei propri membri colpevoli, non lasciando neppure alle famiglie superstiti il sollievo di un risarcimento economico, che persino gli arabi chiamano “il prezzo del sangue”.

Si veniva in quegli anni a conoscenza pure di molti scandali di corruzione e baronaggio in cui erano coinvolti dirigenti sanitari che avevano pronunciato il giuramento d’Ippocrate. Il momento che viviamo oggi è un’amplificazione di quello che avveniva già allora e il numero chiuso a Medicina, l’aumento delle attività di lucro da parte di medici, gli interessi delle case farmaceutiche, l’ingresso azionario nelle imprese sanitarie di azionisti interessati come la Chiesa o altri intoccabili, hanno reso la missione della Salute, della cura, della prevenzione, solo un grosso affare che ci sta portando verso modelli statunitensi per i quali si cura solo chi è in grado di pagare.

Il Welfare di cui godevamo tutti e che era un’eccellenza mondiale viene smantellato picconando scelta dopo scelta.

Noi stessi cittadini, disinteressandoci di tutto quello che è collettivo, ne siamo responsabili. Se nella scelta del partito da votare, del sindacato cui iscriverci, dell’associazione da sostenere, avessimo lo scrupolo di curare meglio gli interessi di tutti e non solo il risparmio del momento presente, le cose potrebbero andare meglio.

Tant’è, questo è quanto!

Quelli erano i miei sogni da ragazzo, già da giovane adulto mi sono disilluso.

Ringrazio quei medici che resistono nella Sanità pubblica, che è l’unica che mi posso permettere, che curano questo povero corpo e che ascoltano le paturnie dell’età e di una vita difficile. Il sistema sociale è da ricostruire, non solo a colpi di miliardi del PNRR… Questa generazione che avanza se ne farà carico, oppure sarà destinata a una fine ingloriosa di sofferenze senza scampo.

Avrei voluto, quando ho iniziato a scrivere dell’università, parlare come faccio di solito di qualche bell’episodio, di molte note di colore, descrizioni, della vita a Genova, degli incontri, della neve e del vento subiti in Vespa correndo per le sue arterie e su per le strette vie in salita, o dei negozi che frequentavo e amavo, del bar frulleria in cui mi regalavo un dolce frullato ogni volta che superavo un esame, degli innamoramenti, delle simpatie, delle amicizie, ricordando i compagni di studio, le esercitazioni di anatomia sul cadavere, le autopsie, seguite dai pranzi in mensa vicino a San Martino in compagnia d'inappetenti compagni di studi che vi avevano assistito insieme a me, che invece ero affamato, delle ore di studio negli scompartimenti del treno, di quella forcata da una lezione di Chimica, proposta da un compagno del mio gruppo perché preferiva pattinare ad Albaro con la ragazza che quel giorno ci andava.

Io, solo tra tante coppie di fidanzati, amiche e amici che pattinavano (e cadevano) a gruppetti, mi lanciavo con poco equilibrio (e cadevo spesso) attirando le risate di tante bellissime ragazze genovesi che non avrei mai abbracciato.

Mi divertii un pozzo!

 


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