Martedì 9 aprile con i cuoriinfiamme

 



Buongiorno, amici,
 
annuncio che al circolo anziani di piazza Brin, via Filippo Corridoni 7 La Spezia faremo un evento/presentazione con molti interventi musicali di Gian Luigi Ago e Patrizio Cozzani, buone scuse per incontrarci e dirci cosa è intercorso dai nostri ultimi incontri individuali. Sarà invece un momento collettivo, come collettivo è stato il lavoro di quei 38 di noi che hanno scritto capitoli o rilasciato interviste che hanno composto, insieme a qualche foto, i due volumi del libro TEMPI DEI CUORI CHE S'INFIAMMANO.  La descrizione di questo lavoro, che compare nel catalogo e sulla quarta di copertina, dice:
 
"Attorno a famose foto degli anni '70 si è formato un collettivo per raccontare le storie di molti che ai Tempi dei cuori che s'infiammano scelsero l'impegno. Anche ora sono tempi di fuoco e servono quelle storie per infiammarli perché l'incendio dei cuori divampi.".
 
Sia che ci crediate o no, venite ad ascoltare e a dirci come la pensate. I riferimenti di questo libro sono:
 
 
 
 
 
Si ringraziano:
 
25 APRILE SEMPRE. l'Italia che Resiste!!!
6000 sardine a La Spezia
Alessandro Achilli
A.N.P.I. Sez. Centro SP
Amilcare Mario Grassi detto Celé
Andrea Luporini
Angelo Ciccio Del Santo
Antonio Zollino
Attilia Brusone
Augusto Caffaz
Augusto Licausi
Carlo Roda
Circolo ARCI del Canaletto
Claudio Bianchi
Claudio Corsi
Claudio Luporini
Claudio Rissicini
David Virgilio
Electric Shock
Elvira Taverna
Eredi di Federico Lucio Paganini
Fabrizio De André
Famiglia Augusto Caffaz
Federico Lucio Paganini
Gianandrea Ghirri
Gian Luigi Ago
Gianni Tendola
Gian Paolo Ragnoli
Giuliano Olivieri
Global Revolution
Graziano Bellani
Guido Melley
I Giacobini del Golfo
I PID
Il dono sospeso
Il settantasette
Laura Ruocco
L’orda d’oro
Marco Brando
Marco Cecconi
Marco Rovelli
Massimo Marasco
Mauro Bertini
Natalino Alberti
Oretta Iacopini
Paola Polito
Paolo Luporini
Patrizia Valanzano
Patrizio Cozzani
Pietro Bellani
Riccardo Pioli
Rita Orecchio
Roberto Bertoni
Roberto Bugliani
Roberto Di Maio
Rudi Veo
Sergio Olivieri
Sergio Scontrini
Stefania Ricciardi
Stormy Six
William Domenichini
Xindrox
 
 
Se poi voleste partecipare attivamente alla realizzazione dell'evento, comunicate con Paolo 3382427739 pluporini@libero.it

Le letture che forse faremo alle 18 di martedì 9 aprile sono testi estratti dai capitoli che sono stati scritti da alcuni di noi che non erano veri e propri leader, ma veri cuoriinfiamme che fecero la loro parte. (Per chi ha un accpunt Facebook: https://www.facebook.com/share/p/rUuCaYSBVCNN21BQ/ )

Paolo Luporini, ANPI Sez. Centro SP

Concedetemi qualche parola prima di iniziare questo nostro evento: Vi risparmio i Ringraziamenti che ho bene espresso all’inizio dei due volumi del libro TEMPI DEI CUORI CHE S’INFIAMMANO che cerchiamo di presentare oggi così come il blog omonimo https://cuoriinfiamme.blogspot.com nel quale sono contenuti centinaia di articoli.

Ho avuto voglia di raccogliere i numerosi articoli del blog in questo e-book che è pure un pdf offerto in omaggio a tutti i membri del collettivo e pure ad altri amici così come i due volumi cartacei che ho messo in vendita ed il cui ricavato è stato e sarà donato ad EMERGENCY, la nota associazione fondata da Gino Strada. Sinora ho inviato bonifici per la somma di 557 €. Altri soldi li avete inviati voi.

L’evento di questo 9 aprile prevede alcuni interventi musicali di Gian Luigi Ago e di Patrizio Cozzani e spero che molti di voi vogliano parlare e raccontare, come abbiamo fatto noi, un po’ delle loro storie. Sono storie forse parziali ma che hanno fatto Storia. Volevamo cambiare la vita e la società, forse abbiamo cambiato qualcosa di noi stessi. Non è stato facile, ma è tanto.

Ho racchiuso in quest’opera gli articoli dal 15 aprile 2020 sino all’8 luglio I capitoli sono 65. A me ricordano, oltre ai fatti narrati, il periodo del lockdown COVID-19, da me vissuto in giornate di lavoro intenso, dedicandomi al gruppo Facebook IL DONO SOSPESO e alla creazione del blog. Gli amici e compagni che ho ringraziato erano con me. Non ero solo.

Quelli come noi non lo saranno mai.

 

“Giuliano Olivieri, ex allievo operaio dell’Arsenale         - Legge Giovanni Tabacchiera -

Mio padre era capo operaio in Arsenale e mia madre era casalinga. Vivevamo a Riomaggiore e si lavorava la terra. Siccome a Riomaggiore non c’erano le scuole, fui mandato a Spezia a studiare, stavo da mio zio Franco. Franco Olivieri era comunista, a quel tempo era uno del PSIUP. Mi ricordo che, già in seconda elementare, avevo letto tutti i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci che Franco ci leggeva tutte le sere. Ci leggeva tutti i trattati comunisti e ci portava alle riunioni. Da lì in poi risentii della rigidità del partito. Franco ha sposato la mamma di Oretta, Vera. Ho vissuto con loro questo tipo d’esperienza. Quando ritornavo a casa, mio padre, che era dipendente dell'Arsenale, repubblicano o socialista, era contro queste idee. Mi ricordo che, dopo le medie, andai al Classico ma mi ritirai perché mi resi conto che sarebbe stato un aggravio troppo grosso per la mia famiglia. Me ne andai all’Istituto Tecnico per periti ma smisi ben presto perché si presentò l’occasione per entrare nella Scuola Allievi Operai dell’Arsenale. C’era bisogno di lavorare. Lì era tutto molto militaresco, eravamo strettamente inquadrati. Il capoclasse non doveva fare le pulizie ma doveva segnare i Buoni e i Cattivi. Io non rientravo in quest’ottica. Eravamo il primo corso della Scuola Allievi Operai e l’edificio non esisteva ancora perciò passammo quell’estate a zappare il terreno dove sarebbe stato costruito. E’ servito perché ci ha forgiato. Tutta la scuola m’è servita. Facevo l’elettronico-elettromeccanico e questa specializzazione l’ho spesa nei lavori futuri. Quando sento parlare che oggi la scuola dell’Arsenale non è capace di dare una formazione adeguata, una qualifica, un mestiere, ai suoi allievi, mi meraviglio e ne soffro perché a quel tempo ho avuto invece a che fare con capi operai preparati, molto bravi. Quando, infine, ci estromisero, sentimmo profondamente l’ingiustizia. C’erano anche molti che venivano da fuori città, il lavoro era un bisogno necessario e l’Arsenale era importantissimo per l’economia. Per noi sarebbe stato una panacea. Io crebbi ancor più nella scelta a sinistra e m’iscrissi nuovamente a scuola, dove incontrai i fermenti del ’68 e aderii al Movimento Studentesco e al Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), quando cambiò nome. Frequentai pure Lotta Continua, dove ebbi modo di conoscere Sofri e tutti gli altri, e Il Manifesto, dove conobbi la Castellina, Magri e persino Valpreda.”

 

Rita Orecchio, ANPI Pordenone        - Legge Oretta Iacopini -

“Sono passati circa 50 anni da quando ho varcato a La Spezia la porta della prima sede dell’organizzazione più simpatica, più allegra, più spontaneista, più eterogenea, più lucida della sinistra extraparlamentare degli anni ’70. Ovviamente, i giudizi sono soggettivi, decisamente di parte, visto che ero una giovane ed entusiasta militante di quella organizzazione. Il compito sarà anche piacevole, perché farà riaffiorare alla memoria momenti significativi e volti di compagne e di compagni splendidi, da cui ho imparato tanto, sia sul piano politico che su quello umano. Mi ritengo fortunata per aver vissuto quegli anni di intensa militanza, prima a La Spezia e poi in altre città.

Comincio dalla mia famiglia d’origine: mio padre era un magistrato militare, quindi non faceva certo salti di gioia nel sapere che la figlia frequentava gruppi estremisti ed era sempre piuttosto vaga e misteriosa riguardo alle sue attività. Anche mia mamma si chiedeva perché tornassi a casa con gli abiti sporchi d’inchiostro e non volessi organizzare insieme a lei una festa da ballo d’ingresso nella società per i miei 18 anni. Ma i miei genitori, pur essendo a tutti gli effetti appartenenti alla borghesia, erano sinceramente antifascisti , inoltre erano persone colte ed aggiornate, possedevano diversi libri (confesso di averne venduti alcuni per avere qualche soldo in più per me) e mi hanno dunque offerto molti stimoli culturali.

Ho frequentato le ultime due classi del Liceo Classico “Lorenzo Costa“ e poi, nell’anno accademico 1970- 1971, mi sono iscritta alla Facoltà di Filosofia dell’Università degli Studi di Pisa, proprio negli anni in cui i docenti, tra cui ricordo Nicola Badaloni, Paolo Cristofolini e Remo Bodei, avevano una chiara impostazione marxista e tenevano corsi sulle opere di Marx ed Engels.

Diciamo quindi che il mio ingresso in LC non è stato dettato da contraddizioni oggettive, materiali, ma da una formazione politico-teorica già fortemente caratterizzata dal pensiero marxista. E poi, sul piano pratico, la militanza in LC è sicuramente nata dalla militanza precedente nel movimento degli studenti medi, che aveva dato vita al ’68 spezzino e la militanza nel gruppo di Potere Operaio, che aveva la sua sede in Via Aldo Ferrari, nel famoso fondo di Franco Pisano.”

 

Roberto Bugliani, poeta, scrittore, volontario internazionale     - Legge Massimo Marasco -

“Il leader indiscusso della sezione cittadina del P.O. era Franco Pisano. Franco possedeva un'intelligenza politica e una capacità d'analisi superiori a quelle di noialtri militanti, sì che fin dall'inizio dell'attività politica nessuno di noi manifestò la pur minima perplessità nel riconoscergli l'autorevolezza che meritava. Iscritto alla Facoltà di scienze matematiche di Pisa, la militanza politica a tempo pieno lo aveva costretto ad abbandonare gli studi universitari, e nei primi anni della sua attività di leader politico fece fronte alle necessità economiche impartendo lezioni private di matematica e fisica agli studenti delle superiori. Quando scoppiò il maggio francese Franco decise di recarsi a Parigi. Voleva capire, vedere sul campo cosa stava succedendo, instaurare rapporti politici con i compagni d'oltralpe, perché lo scenario delle lotte anticapitalistiche era divenuto globale. E a Parigi, al termine di una manifestazione studentesca dalle parti di Boulevard Saint-Michel, si erano avuti degli scontri con la polizia, gli idranti avevano disperso i manifestanti e il corteo si era scisso in vari spezzoni. Fu in quell'occasione che Franco venne arrestato dai flic, portato alla gendarmeria di zona e trasferito in una cella del carcere della Santé, dove rimase in isolamento per un paio di settimane.

Quando la notizia arrivò in Italia, gli amici di Franco si mobilitarono, diedero vita a un Comitato per la sua liberazione e organizzarono proteste e sit-in davanti ai consolati francesi e all'ambasciata francese di Roma. Ci volle l'intercessione dell'ambasciatore italiano a Parigi, a sua volta sollecitato da un deputato cittadino del Pci, perché Franco fosse liberato, espulso dalla Francia ed estradato in Italia. Da quel momento gli agenti della polizia politica, la Digos, presero a interessarsi a Franco.”

“Non ricordo più quale fosse stato il motivo della protesta che aveva dato vita al corteo studentesco, regolarmente non autorizzato come tutti gli altri di allora a cui avevo partecipato, ma ricordo esattamente il giovane dal montgomery verde, il viso assorto incorniciato dalla barba folta e i capelli neri, che si era seduto accanto a me nel sit-in simbolico, durato una decina di minuti, in Piazza del Mercato. Gridavamo slogan con la certezza dei nostri vent'anni nella società comunista a venire, e quando il corteo si sciolse, nel fare ritorno a casa, mi trovai a percorrere al suo fianco un tratto di strada, perciò ne approfittai per scambiare con lui opinioni e punti di vista sulla situazione politica del momento con la concitazione e l'entusiasmo crescenti di chi scopre nell'interlocutore un comune sentire, sia pure con la consapevolezza che non riuscirà a confrontarsi su tutti gli argomenti che gli stanno a cuore in un lacerto di tempo così breve.

Così conobbi Franco Pisano, e quando lo incontrai di nuovo in una libreria del centro cittadino, lo sguardo intento a setacciare i titoli dei volumi di economia marxista e di teoria critica allineati sugli scaffali, riallacciammo la conversazione interrotta qualche giorno prima. Non mi ero sbagliato: l'impressione di una nostra comunanza di idee e di giudizi politici che avevo ricevuto al primo incontro si confermò fin da subito, rafforzandosi nella condivisione di riferimenti teorici e di scelte politiche alimentati da una stessa visione del mondo e della società. Uscimmo dalla libreria seguitando in un dialogo in cui la condanna del "modello" comunista sovietico (il socialimperialismo, nel lessico di allora) si intersecava con il forte interesse per la Cina di Mao e la Cuba di Castro, e il netto rifiuto dello stalinismo accompagnava la critica al revisionismo del Pci. Insomma, passeggiando avanti e indietro sotto i portici di quella città di provincia, in un giorno d'autunno del 1967 ancora mite, e senza averne peraltro piena consapevolezza, stavamo affrontando anche noi, come in quel momento facevano altre migliaia di giovani sparsi per tutta la penisola, i nodi teorici di quel marxismo critico, sorto in opposizione al dogmatismo burocratico e ai rituali sclerotizzati dei paesi del socialismo reale, che avrebbe permeato di sé la nuova identità politica della generazione nata a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, e che nel contempo avrebbe ispirato la stagione delle ribellioni e delle lotte sessantottesche. Nel corso della conversazione, che si prolungò su una panchina dei giardini di fronte ai portici dove andammo a sederci, potei rendermi conto della solida formazione teorica di Franco e, facendo appello alla mia limitata conoscenza di quei pensatori marxisti a cui lui si riferiva con la familiarità propria di letture sistematiche, arrancavo disperatamente nel tener dietro alle sue parole. I nomi dei maggiori esponenti novecenteschi del pensiero critico marxista che Franco citava presero a sfilare sotto i miei occhi sull'improvvisato palcoscenico dei giardini e devo dire che furono proprio quei nomi a definire il programma delle mie letture future.”

 

Federico “Lucio” Paganini, Unione Inquilini       Legge Paolo Luporini -

A cavallo degli anni ’60 e ’70 studiavo e la mattina, alle otto, sentivo regolarmente il giornale radio che immancabilmente annunciava: “…aerei americani hanno bombardato… “ questo o quell’obiettivo vietnamita. Quell’annuncio, altrettanto immancabilmente, prima del disgusto. mi provocava una contrazione di qualche muscolo del ventre, forse una stretta delle coronarie, poi subentrava la rabbia che prendeva i muscoli delle braccia: era come se volessero muoversi, ma per l’impossibilità di dare uno sfogo fisico alla rabbia e all’odio subivano per qualche istante una specie di tremito. Aveva ragione Omero quando situava la sede delle funzioni intellettuali nei precordi, e non nel cervello. Queste erano le mie emozioni di fronte alle infamie dell’imperialismo americano. Naturalmente posso parlare solo per me per quanto riguarda le sensazioni e i sentimenti più profondi. Quello che ho descritto è il “mio Vietnam”, il Vietnam come l’ho vissuto io. Non so come reagivano nel loro intimo i tanti giovani che come me odiavano quella guerra, però li avevo attorno a me a centinaia in questa città e li vedevo in tv a decine di migliaia quando le manifestazioni antimperialiste si svolgevano nelle grandi città d’Italia e del resto del mondo. Vedevo Sartre in Francia, Joan Baez e Jane Fonda e Cassius Clay e Angela Davis negli USA, vedevo Che Guevara in Bolivia, Lelio Basso e il suo tribunale in Italia, battersi contro l’imperialismo e quelli erano i miei eroi. Fossero loro toccati emotivamente come me o la loro indignazione fosse soltanto razionale, li sentivo comunque vicini.”

 

Claudio Rissicini, volontario internazionale, fondatore del Museo Paleontologico di Lerici

-         Legge Giovanni Tabacchiera -

“Nell’estate del ‘64, a quattordici anni, terminai la Terza Media, anzi, la Terza Avviamento Commerciale, perché la riforma della Scuola Media doveva ancora dispiegarsi completamente, e quindi all’inizio degli anni sessanta, quando finii le Elementari, esisteva ancora una scuola differenziata: i figli della borghesia, alta, media e piccola, andavano, previo Esame d’Ammissione, alle Scuole Medie, mentre i figli dei proletari andavano alle Scuole di Avviamento Professionale, che a Sarzana aveva indirizzo Commerciale, invece alla Spezia aveva indirizzo Industriale. Era una scuola senza senso, dove, oltre alle materie tradizionali, si praticavano materie quali la stenografia, dove io eccellevo, dattilografia, calligrafia, e permetteva di iscriversi solo a Ragioneria, mentre erano precluse le altre Superiori quali Liceo, Istituti Industriali, Nautico.

Si doveva decidere il mio futuro e, per me, che avrei voluto continuare a studiare, la scelta era obbligata: dovevo andare a lavorare perché mio padre era morto di tumore a maggio, all’età di 53 anni, e con la paga di mia madre, operaia precaria, non vi erano altre possibilità. Inoltre avevo tre fratelli , tutti più grandi di me, anche loro con lavori sottopagati e precari.

Mio padre, Rizieri, era saldatore all’INMA, dove era entrato dopo le epurazioni politiche dell’inizio degli anni cinquanta in Arsenale, da dove erano stati cacciati tutti i militanti di sinistra e che, assieme ai licenziati politici dell’OTO Melara e delle altre imprese partecipate dallo stato, costituirono l’ossatura del piccolo commercio provinciale. Molti però entrarono all’INMA, denominata per molti anni il Cremlino spezzino per la quasi totalità di iscritti al PCI fra i lavoratori. Il tasso di politicizzazione era molto alto, ed io lo coglievo dai discorsi che lui faceva con i vicini, i compagni di fabbrica, gli amici.

Devo a lui il mio amore per la lettura e, soprattutto, la voglia di avventura che mi instillò dandomi da leggere intorno ai dieci anni i libri di Salgari, con le stupende descrizioni dei tropici, luogo elettivo delle avventure di Sandokan, o dei vari corsari, nonché i gialli di Arsenio Lupin.

Quello spirito romantico è poi rimasto in me, che ho poi trasfuso nei lavori che, trentenne, ho iniziato a praticare in Africa ed altri luoghi.”

 

Augusto Licausi, volontario, docente Sindacato Pensionati Italiani      - Legge Massimo Marasco -

AVEVO VENT'ANNI NEL '68, ma il mio "personale '68" aveva cominciato a fermentare qualche anno prima, intorno al 1966, l'anno del diploma.

Frequentavo le aule del "Da Passano" (la scuola per "Ragionieri e Periti Agrimensori"), con scarso entusiasmo e con risultati appena apprezzabili.

Ero convintamente uno Scout dalla formazione religiosa approssimativa (non faceva parte della mia educazione familiare) e senza tante domande. L'ideale del "servizio verso il prossimo" e l'immagine dell'"uomo di frontiera" (Il Presidente Kennedy, il cardiochirurgo Barnard, Thor Eyerdahl e il Kon Tiki, gli astronauti dei primi viaggi nello spazio...) erano i nostri miti e, in qualche modo, alcuni dei riferimenti del percorso educativo che allora ci veniva proposto.

Erano gli anni del grande fermento del mondo cattolico suscitato dal Concilio Ecumenico quando ancora non si stava manifestando la "controriforma" che in Liguria si sarebbe concretizzata con il potentissimo Cardinal Siri e alla Spezia con il Vescovo Stella.

Ne subirono le conseguenze tanti giovani preti che dovettero soffrire emarginazione e vera e propria persecuzione al punto da dover lasciare il sacerdozio.

Ma questa è un'altra storia anche perché sarebbe avvenuta qualche anno dopo.

Lo studio era impegnativo ma il "clima" non competitivo e, oserei dire, cameratesco che si viveva in classe rendeva tutto non particolarmente faticoso e talvolta persino divertente. Si studiava spesso insieme in casa dell'uno o dell'altro ma dopo un po’ spuntavano le carte da gioco, qualcuno sentiva musica, qualcuno dei più "avanti" usciva con "la donna", gli sfigati come me rimanevano a studiare.

Memorabili le "spedizioni speleologiche" nelle grotte di Quaratica e Pignone tra una rendicontazione di partita doppia e una lezione di diritto fallimentare...

Nel 1966 mi sorprese non poco un episodio scolastico di cui fu autore il preside Angelo Gianni, uomo di grande cultura e formidabile affabulatore. Aveva fatto piazzare in ogni aula un altoparlante attraverso il quale spesso lanciava messaggi che io non comprendevo bene, ma intuivo e sapevano di "rivoluzionario". Accanto all'altoparlante c'era un quadro con alcuni versetti di Rabindranath Tagore. Purtroppo non li ricordo, ma suscitavano rispetto e virtù civili. Ricordo un appassionato sermone in occasione del disastro del Vajont... del 1963. Ma nella primavera del 1966, a seguito di molte manifestazioni nelle università (in particolare a Pisa) il Gianni ci rivolse un accorato appello alla partecipazione e all'impegno studentesco per la realizzazione dei principi della Costituzione. Noi avevamo studiato (male) un po’ di diritto ma le cose che ci disse erano irrituali ed io mi sentii più grande...

Non fece l'effetto di un cerino sulla benzina (anche perché eravamo divisi tra la preparazione della maturità e quella dell'ultima goliardata dell'ultimo giorno di scuola: tutti a sfilare vestiti da scozzesi con gonnellino e cornamuse) però, se lo ricordo ancora, a distanza di cinquant’anni, ci sarà un motivo!

L'impatto con la frequentazione della facoltà di economia a Pisa non fu uno scherzo perché tutto incuteva timore nonostante l'atteggiamento fintamente spavaldo.

E veder sventolare una bandiera rossa al balcone della Sapienza come segnale dell'occupazione mi fece un certo effetto... anche perché ero un povero pendolare, dovevo correre a prendere il treno e gli uscieri ci avevano sprangato dentro per evitare l'ingresso agli occupanti...

Era la fine della goliardia, delle feste delle matricole, delle corse frenetiche dei neo iscritti per evitare di essere messi in mutande e trascinati in via Chiodo addobbati da albero di natale. Per evitarlo dovevi comprare un "papiro", un lasciapassare con vignette, sconciaggini di vario tipo, realizzati da sempiterni studenti fuori corso (i Tribuni) che in tal modo si pagavano bevute e non solo...

Un po' per fortuna, un po' per l'impegno, la conquista del presalario (un discreto compenso in denaro a chi coniugava buoni risultati in esami superati con requisiti economici contenuti) mi consentiva di proseguire lo studio senza dovermi subito cercare un lavoro e così il 1967 volò via velocissimo tra l'impegno di studio, il servizio scout come capo di un branco di trenta bambini con una responsabilità educativa che, ripensandoci, mi atterrisce, e con i genitori di quei bambini che mi facevano sentire un guru per quanta autorevolezza immeritata mi assegnavano.

Ma questi impegni si vivevano dentro un’atmosfera di straordinaria presa di coscienza... (così ci sembrava), la storia aveva assegnato a noi di quella generazione il compito e il destino di cambiare il mondo! E noi eravamo convinti che ci saremmo riusciti! Cambiando la politica, la chiesa, le nostre famiglie, i rapporti tra le persone, i rapporti tra il nord e il sud del mondo, la musica, il modo di vestire, i rapporti col "misterioso" mondo femminile...

E forse cambiando anche un po' noi stessi.”

 

Parlando di Augusto Caffaz…                    - Legge Giovanni Tabacchiera -

Sono Giuliano Olivieri ed ho avuto occasione e fortuna di incontrare Augusto Caffaz per la prima volta con i primi fermenti “rivoluzionari” nella città di Spezia, erano gli anni a cavallo del ’68. Già al primo incontro mi hanno colpito in Augusto la grande ironia e autoironia e la fermezza di un militante politico disciplinato. In quegli anni Augusto, oltre a svolgere l’attività d’insegnante alle scuole medie, ha avuto sempre nella militanza politica il suo vivere quotidiano, alternando anche il suo tempo di militanza tra la passione per il teatro e le lotte operaie e antirazziste. Era di origine ebraica, nato in Calabria e orgogliosamente antisionista, impegnato contro l’occupazione da parte degli israeliani dei territori palestinesi. Inizialmente ho faticosamente cercato di capire come potesse far convivere la cosa con gran naturalezza. Soltanto molti anni dopo e con la frequentazione continua ho compreso cosa avesse vissuto in quegli anni. È stato il mio primo insegnante di vita politica e, quando per motivi di lavoro mi sono trasferito a Napoli ed ho continuato la mia vita politico/sindacale, ho avuto in Augusto il ricordo di una guida importante.”

“Ricordo inoltre che non ci fosse manifestazione, raduno o assemblea in cui non si presentasse con i propri scritti da divulgare a presenti e... passanti.“

È deceduto all’età di 71 anni a seguito di un devastante ictus a Sarzana dopo essere stato ricoverato per lungo tempo al Don Gnocchi, il centro riabilitativo a Fontevivo, dove ciascuno di noi ha sperato di poterlo rivedere sul campo come negli anni trascorsi insieme ma purtroppo le nostre visite non hanno potuto riportarlo in vita. Ricordo che quando andavo a trovarlo continuavo a parlargli come abbiamo sempre fatto e nelle volte in cui ho vissuto l’illusione che mi ascoltasse… ho potuto soltanto sussurrargli: “Grazie, compagno amico, di tutto!”.”

 

Gianandrea Ghirri                 - Legge Giovanni Tabacchiera -

 

“Brutto periodo il nostro ‘77. Alternato tra Piazza Verdi, il Liceo, la sede del PdUP, di LC, del Movimento, tra via Prione e Migliarina, e Via Biassa. E le interminabili assemblee scolastiche, politiche, di Movimento, i cortei, le lotte a colpi d’arancia in Via Chiodo, giusto per vedere se i pulotti sarebbero intervenuti.

Noi ce la mettevamo tutta, con Eskimo e passamontagna, per essere credibili.

Ma quelli niente, non intervenivano. Dichiarando al mondo che noi eravamo visibilmente la parte innocua del movimento di protesta, separati con grande dolore dalle serietà che si svolgevano altrove, con bombe e colpi di pistola.

Noi diciottenni nel 1977-78, allevati a “Il mestiere di vivere”, “Il muro”, Lolli, Guccini, Genesis, Canned Heat e Pink Floyd. Anche a Lenin e SturmTruppen.

Il nostro immaginario di figli di operai, sottufficiali, artigiani, bottegai, era riempito di concretezze che non trovavano precisa definizione in un qualche “Che fare?”. La libertà anarchica c’impelleva nella sua natura piccolo borghese.

E allora tutti in assemblea, a coltivare la nostra diversità che oggi ci assicura il galleggiamento, oggi che davvero sono arrivati i tempi brutti per la diversità.

Noi, allevati a Pavese, a “Che fare?”, a vivere la solidarietà e la condivisione quotidiana nel gruppo, oggi siamo la meglio ‘senectus’, e galleggiamo.

Col Disperato, erotico, ‘stomp’ dei nostri cortei.”

 

 

 

Claudio Corsi             - Legge Giovanni Tabacchiera -

 

Ho visto le menti migliori

della mia generazione eccetera eccetera

Ginsberg, Urlo

 

“Quando una delle prime sere del settantatré, ai Giardini arrivò la notizia che Giustelli veniva a stare in città, i vecchi del Collettivo Cemento Armato si fregarono le mani: “Ci siamo, ragazzi, adesso ne vedremo delle belle!” Noi, pivelli di quindici-sedici anni, nel Collettivo c’eravamo entrati da poco; e certe cose non potevamo ancora saperle. Vero è che ogni tanto, alle riunioni, il nome di Giustelli qualcuno l’aveva tirato fuori; ma era solo un modo di dire. “Fare come fa il Giustelli” era lo stesso che “fare l’esagerato, l’avventurista politico”. Di lui, nello specifico, non avevano mai parlato. Alla fine, domandando un po’ in giro, c’eravamo fatti l’idea che Giustelli fosse il classico sbandato con poca teoria e tanta voglia di far casino. Il che non era poi sbagliato; ma non la diceva tutta. Giustelli era, infatti, qualcosina di più. Anzi, era molto, molto di più: era un tipo unico, una specie d’incrocio fra un vulcano e una bomba a orologeria – uno di quelli insomma che dopo un po’ ti accorgi che gira con più carica degli altri.

A dire il vero, quella prima sera che lo abbiamo visto ai Giardini, non è che ci avesse fatto una gran impressione: un tipetto secco e pieno di spigoli, capelli lunghi e stenchi, un po’ di pelo sotto il naso... Però, già l’indomani al bar, gli giravamo intorno in giri sempre più stretti. Quella sua giacchetta da pescatore di fiume – non capivamo perché – ci tirava gli occhi come una calamita… Insomma, sta di fatto che tempo una settimana gli eravamo già incollati addosso tutto il santo giorno!”

 

Massimo Marasco, attore, romanziere, saggista di psicoanalisi, fondatore della Fondazione Silvia Montefoschi              - Legge lui stesso -

 

“Ho avuto la fortuna di avere un grande amico.

Si chiamava Renato Cirelli.

Per me, che sono figlio unico, è stato come un fratello, anzi, molto più che un fratello.

Un fratello ce lo si trova accanto per caso, per motivi di sangue, non lo si sceglie.

Renato e io avevamo invece scelto di frequentarci; compagni di scuola, eravamo diventati fin dalla seconda elementare compagni di banco, avevamo deciso di vederci anche dopo le lezioni per fare i compiti insieme e dopo per giocare insieme.

Facevamo anche giochi tradizionali, ricordo ad esempio le interminabili partite a Monopoli, senza la “y” finale, forse per un rimasuglio post-fascista di difesa della lingua italiana, anche se eravamo già negli anni ’60; ma più che altro i giochi ce li inventavamo.

Per esercitare la nostra curiosità, la nostra sete di conoscenza, giocavamo a “farsi delle domande”, su qualunque argomento, da appassionati consultatori di enciclopedie per ragazzi.

Per dar sfogo alla nostra fantasia, giocavamo alle “commedie”, recitando a soggetto dapprima utilizzando un teatro di burattini, poi dei pupazzetti di plastica, che per noi potevano raffigurare qualunque personaggio.

Ci influenzavamo a vicenda, ad esempio forse all’inizio ero io quello più appassionato di calcio e di sport in generale, ma poi è sempre stato lui che fin da bambino mi ha iniziato a ciò che per me avrebbe rappresentato un salto culturale, la via per diventare adulti, una presa di coscienza.

Fu Renato a suscitare in me una presa di coscienza politica e sociale che aveva messo in discussione quello che per me era stato fino ad allora un mito: quello degli Stati Uniti, con le sue città, automobili, fumetti, sport, “way of life”, i Kennedy, e quant’altro; come pure mi aveva fatto ridimensionare l’importanza della scienza e della tecnica, che per me fino ad allora rappresentavano anch’esse un mito indiscutibile.”

Renato iniziò a frequentare attivamente gli ambienti della sinistra extra-parlamentare e dopo la maturità si iscrisse a Filosofia.

Io seguii la mia passione di bambino e mi iscrissi a Chimica, e per i primi anni dell’università Renato e io ci allontanammo.”

Quando Renato e io ci ritrovammo eravamo entrambi in crisi.

Nelle nostra vicenda umana aveva fatto irruzione un nuovo: l’amore, il femminile, la passione con la sua forza prorompente che aveva destabilizzato le nostre vite fino ad allora dominate dal pensiero, dal maschile, dalla razionalità.”

“Ad un certo punto, però, la passione per la politica e per il sociale di Renato era tornata prepotentemente a farsi sentire.” S’impegnò moltissimo a favore dei rifugiati e degli immigrati che nessun altro nella sinistra ancora vedeva. Ebbe però vicissitudini personali dolorose ed entrò in analisi. “Proprio nel mezzo della sua evoluzione, che lo aveva portato a superare il conflitto tra pubblico e privato, universale e particolare, fino a riconciliarsi con la moglie tanto amata; nel mezzo del nostro dialogo che mi portava sempre più a capire l’importanza della psicoanalisi per la mia vita, una malattia implacabile colpì Renato portandolo inesorabilmente e troppo velocemente a una morte prematura, ad appena quarant’anni.”

“Non dimenticherò mai che un giorno in cui stava particolarmente male, tanto che non riusciva quasi a parlare, Renato ebbe la forza di sussurrarmi:

«Massimo, non abbandonare l’analisi!»

In quel momento capii tante cose.

Che lui se ne stava andando lasciandomi questo compito in eredità.

Che era giunto per me il momento di proseguire il cammino della conoscenza e dell’evoluzione insieme alla fonte stessa del nuovo pensiero.”

 

Interventi...


L'INGRESSO E' LIBERO.
 
A presto
 

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ore 18 del 9 aprile, l'evento inizia:




Siamo un collettivo di 38 di noi che negli anni settanta avevamo circa vent’anni. Al circolo anziani di piazza Brin di via Filippo Corridoni 7 a La Spezia c’è stato ieri un evento/presentazione con molti interventi musicali di Gian Luigi Ago e Patrizio Cozzani, buone scuse per incontrarci e dirci cosa è intercorso dai nostri ultimi incontri individuali. È stato invece un momento collettivo, come collettivo è stato il nostro lavoro di scrivere capitoli o rilasciare interviste che hanno composto, insieme a qualche vecchia foto, i due volumi del libro TEMPI DEI CUORI CHE S'INFIAMMANO. I due volumi si acquistano online da Amazon.it oppure nella libreria LIBeRItutti di via Tommaseo 49 a La Spezia. La descrizione di questo lavoro, che compare nel catalogo e sulla quarta di copertina, dice:

"Attorno a famose foto degli anni '70 si è formato un collettivo per raccontare le storie di molti che ai Tempi dei cuori che s'infiammano scelsero l'impegno. Anche ora sono tempi di fuoco e servono quelle storie per infiammarli perché l'incendio dei cuori divampi.".

Hanno letto e interpretato brani estratti dai capitoli del libro Oretta Iacopini, Giovanni Tabacchiera, Massimo Marasco, Paolo Luporini, che ha curato il blog https://cuoriinfiamme.blogspot.com a partire dal 15 aprile 2020, durante il lockdown, e i due volumi, la loro pubblicazione e distribuzione a favore dell’associazione Emergency Ong che dal 1994 è presente nei paesi in guerra con ospedali e chirurghi che operano indistintamente i feriti di ambo le parti e i civili, donne e bambini, spesso mutilati dalle mine antiuomo. Sinora, dalle vendite, sono stati raccolti quasi 600 euro, e le royalties e le donazioni spontanee contribuiscono ad aumentare gli importi da Spezia.

Ieri sono intervenuti iscritti al Partito Radicale, ex membri di Lotta Continua, della Lega dei Comunisti, del PdUPc, della Quarta Internazionale, del Movimento Studentesco e del Movimento Lavoratori per il Socialismo. Sono stati ricordati Franco Pisano, fondatore a Spezia del Potere Operaio e della Lega dei Comunisti, Avanguardia Operaia e Democrazia Proletaria. Augusto Caffaz, della Quarta Internazionale, tenace combattente per l’Acqua pubblica e per le cause internazionaliste, lui di origine ebraica, appassionato difensore della causa palestinese, è stato ricordato così come Federico “Lucio” Paganini, militante della Lega dei Comunisti, di Democrazia Proletaria e di Rifondazione Comunista, fondatore a Spezia del sindacato per la casa Unione Inquilini, è stato ricordato per la sua passione antimperialista, a partire dalla causa vietnamita. Maurizio Cavalli, ottimo musicista folk, creatore del "Centro della Comunicazione", si è fatto ricordare per la morte precoce come quella di Renato Cirelli, uno dei primi nella sinistra spezzina che si accorse della presenza degli immigrati in provincia impegnandosi per la loro accoglienza e sostenendo la creazione del Centro di Solidarietà per gli immigrati. Una rara canzone della Resistenza italiana, interpretata da Gian Luigi Ago, ha concluso il nostro incontro. I due volumi di TEMPI DEI CUORI CHE S’INFIAMMANO sono stati donati oggi alla Biblioteca U. Mazzini in attesa di essere catalogati e messi a disposizione per la consultazione.

“ …Anche ora sono tempi di fuoco e servono quelle storie per infiammarli perché l'incendio dei cuori divampi.”

Sarebbe una nostra speranza, ed è una delle motivazioni implicite del libro, che le nostre storie ed esperienze servissero alle generazioni presenti e future per capirne la continuità con la Resistenza dei partigiani contro i nazifascisti, le lotte per la libertà e l’ingiustizia, l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli, argomenti che, come è evidente, sono ancora drammaticamente attuali.


Alle magnifiche sorti e progressive...






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