Martedì 9 aprile con i cuoriinfiamme
Paolo
Luporini, ANPI Sez. Centro SP
Concedetemi
qualche parola prima di iniziare questo nostro evento: Vi risparmio i
Ringraziamenti che ho bene espresso all’inizio dei due volumi del libro TEMPI
DEI CUORI CHE S’INFIAMMANO che cerchiamo di presentare oggi così come il blog
omonimo https://cuoriinfiamme.blogspot.com nel quale sono
contenuti centinaia di articoli.
Ho
avuto voglia di raccogliere i numerosi articoli del blog in questo e-book che è
pure un pdf offerto in omaggio a tutti i membri del collettivo e pure ad altri
amici così come i due volumi cartacei che ho messo in vendita ed il cui
ricavato è stato e sarà donato ad EMERGENCY, la nota associazione fondata da
Gino Strada. Sinora ho inviato bonifici per la somma di 557 €. Altri soldi li
avete inviati voi.
L’evento
di questo 9 aprile prevede alcuni interventi musicali di Gian Luigi Ago e di
Patrizio Cozzani e spero che molti di voi vogliano parlare e raccontare, come
abbiamo fatto noi, un po’ delle loro storie. Sono storie forse parziali ma che
hanno fatto Storia. Volevamo cambiare la vita e la società, forse abbiamo
cambiato qualcosa di noi stessi. Non è stato facile, ma è tanto.
Ho
racchiuso in quest’opera gli articoli dal 15 aprile 2020 sino all’8 luglio I
capitoli sono 65. A me ricordano, oltre ai fatti narrati, il periodo del
lockdown COVID-19, da me vissuto in giornate di lavoro intenso, dedicandomi al
gruppo Facebook IL DONO SOSPESO e alla creazione del blog. Gli amici e compagni
che ho ringraziato erano con me. Non ero solo.
Quelli
come noi non lo saranno mai.
“Giuliano
Olivieri, ex allievo operaio dell’Arsenale - Legge Giovanni Tabacchiera -
Mio padre era capo operaio in Arsenale e mia madre era casalinga.
Vivevamo a Riomaggiore e si lavorava la terra. Siccome a Riomaggiore non
c’erano le scuole, fui mandato a Spezia a studiare, stavo da mio zio Franco.
Franco Olivieri era comunista, a quel tempo era uno del PSIUP. Mi ricordo che,
già in seconda elementare, avevo letto tutti i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci che Franco ci leggeva tutte le
sere. Ci leggeva tutti i trattati comunisti e ci portava alle riunioni. Da lì
in poi risentii della rigidità del partito. Franco ha sposato la mamma di
Oretta, Vera. Ho vissuto con loro questo tipo d’esperienza. Quando ritornavo a
casa, mio padre, che era dipendente dell'Arsenale, repubblicano o socialista,
era contro queste idee. Mi ricordo che, dopo le medie, andai al Classico ma mi
ritirai perché mi resi conto che sarebbe stato un aggravio troppo grosso per la
mia famiglia. Me ne andai all’Istituto Tecnico per periti ma smisi ben presto
perché si presentò l’occasione per entrare nella Scuola Allievi Operai
dell’Arsenale. C’era bisogno di lavorare. Lì era tutto molto militaresco,
eravamo strettamente inquadrati. Il capoclasse non doveva fare le pulizie ma
doveva segnare i Buoni e i Cattivi. Io non rientravo in quest’ottica. Eravamo
il primo corso della Scuola Allievi Operai e l’edificio non esisteva ancora
perciò passammo quell’estate a zappare il terreno dove sarebbe stato costruito.
E’ servito perché ci ha forgiato. Tutta la scuola m’è servita. Facevo
l’elettronico-elettromeccanico e questa specializzazione l’ho spesa nei lavori
futuri. Quando sento parlare che oggi la scuola dell’Arsenale non è capace di
dare una formazione adeguata, una qualifica, un mestiere, ai suoi allievi, mi
meraviglio e ne soffro perché a quel tempo ho avuto invece a che fare con capi
operai preparati, molto bravi. Quando, infine, ci estromisero, sentimmo
profondamente l’ingiustizia. C’erano anche molti che venivano da fuori città,
il lavoro era un bisogno necessario e l’Arsenale era importantissimo per
l’economia. Per noi sarebbe stato una panacea. Io crebbi ancor più nella scelta
a sinistra e m’iscrissi nuovamente a scuola, dove incontrai i fermenti del ’68
e aderii al Movimento Studentesco e al Movimento Lavoratori per il Socialismo
(MLS), quando cambiò nome. Frequentai pure Lotta Continua, dove ebbi modo di
conoscere Sofri e tutti gli altri, e Il Manifesto, dove conobbi la Castellina,
Magri e persino Valpreda.”
Rita Orecchio, ANPI Pordenone
- Legge Oretta Iacopini -
“Sono
passati circa 50 anni da quando ho varcato a La Spezia la porta della prima
sede dell’organizzazione più simpatica, più allegra, più spontaneista, più
eterogenea, più lucida della sinistra extraparlamentare degli anni ’70.
Ovviamente, i giudizi sono soggettivi, decisamente di parte, visto che ero una
giovane ed entusiasta militante di quella organizzazione. Il compito sarà anche
piacevole, perché farà riaffiorare alla memoria momenti significativi e volti
di compagne e di compagni splendidi, da cui ho imparato tanto, sia sul piano
politico che su quello umano. Mi ritengo fortunata per aver vissuto quegli anni
di intensa militanza, prima a La Spezia e poi in altre città.
Comincio
dalla mia famiglia d’origine: mio padre era un magistrato militare, quindi non
faceva certo salti di gioia nel sapere che la figlia frequentava gruppi
estremisti ed era sempre piuttosto vaga e misteriosa riguardo alle sue
attività. Anche mia mamma si chiedeva perché tornassi a casa con gli abiti
sporchi d’inchiostro e non volessi organizzare insieme a lei una festa da ballo
d’ingresso nella società per i miei 18 anni. Ma i miei genitori, pur essendo a
tutti gli effetti appartenenti alla borghesia, erano sinceramente antifascisti
, inoltre erano persone colte ed aggiornate, possedevano diversi libri
(confesso di averne venduti alcuni per avere qualche soldo in più per me) e mi
hanno dunque offerto molti stimoli culturali.
Ho
frequentato le ultime due classi del Liceo Classico “Lorenzo Costa“ e poi,
nell’anno accademico 1970- 1971, mi sono iscritta alla Facoltà di Filosofia
dell’Università degli Studi di Pisa, proprio negli anni in cui i docenti, tra
cui ricordo Nicola Badaloni, Paolo Cristofolini e Remo Bodei, avevano una
chiara impostazione marxista e tenevano corsi sulle opere di Marx ed Engels.
Diciamo
quindi che il mio ingresso in LC non è stato dettato da contraddizioni
oggettive, materiali, ma da una formazione politico-teorica già fortemente
caratterizzata dal pensiero marxista. E poi, sul piano pratico, la militanza in
LC è sicuramente nata dalla militanza precedente nel movimento degli studenti
medi, che aveva dato vita al ’68 spezzino e la militanza nel gruppo di Potere
Operaio, che aveva la sua sede in Via Aldo Ferrari, nel famoso fondo di Franco
Pisano.”
Roberto
Bugliani, poeta, scrittore, volontario internazionale - Legge Massimo Marasco -
“Il leader
indiscusso della sezione cittadina del P.O. era Franco Pisano. Franco possedeva
un'intelligenza politica e una capacità d'analisi superiori a quelle di
noialtri militanti, sì che fin dall'inizio dell'attività politica nessuno di
noi manifestò la pur minima perplessità nel riconoscergli l'autorevolezza che
meritava. Iscritto alla Facoltà di scienze matematiche di Pisa, la militanza
politica a tempo pieno lo aveva costretto ad abbandonare gli studi
universitari, e nei primi anni della sua attività di leader politico fece
fronte alle necessità economiche impartendo lezioni private di matematica e
fisica agli studenti delle superiori. Quando scoppiò il maggio francese Franco
decise di recarsi a Parigi. Voleva capire, vedere sul campo cosa stava succedendo,
instaurare rapporti politici con i compagni d'oltralpe, perché lo scenario
delle lotte anticapitalistiche era divenuto globale. E a Parigi, al termine di
una manifestazione studentesca dalle parti di Boulevard Saint-Michel, si erano
avuti degli scontri con la polizia, gli idranti avevano disperso i manifestanti
e il corteo si era scisso in vari spezzoni. Fu in quell'occasione che Franco
venne arrestato dai flic, portato alla gendarmeria di zona e trasferito
in una cella del carcere della Santé, dove rimase in isolamento per un
paio di settimane.
Quando la
notizia arrivò in Italia, gli amici di Franco si mobilitarono, diedero vita a
un Comitato per la sua liberazione e organizzarono proteste e sit-in davanti ai
consolati francesi e all'ambasciata francese di Roma. Ci volle l'intercessione
dell'ambasciatore italiano a Parigi, a sua volta sollecitato da un deputato
cittadino del Pci, perché Franco fosse liberato, espulso dalla Francia ed
estradato in Italia. Da quel momento gli agenti della polizia politica, la
Digos, presero a interessarsi a Franco.”
“Non
ricordo più quale fosse stato il motivo della protesta che aveva dato vita al
corteo studentesco, regolarmente non autorizzato come tutti gli altri di allora
a cui avevo partecipato, ma ricordo esattamente il giovane dal montgomery
verde, il viso assorto incorniciato dalla barba folta e i capelli neri, che si
era seduto accanto a me nel sit-in simbolico, durato una decina di minuti, in
Piazza del Mercato. Gridavamo slogan con la certezza dei nostri vent'anni nella
società comunista a venire, e quando il corteo si sciolse, nel fare ritorno a
casa, mi trovai a percorrere al suo fianco un tratto di strada, perciò ne
approfittai per scambiare con lui opinioni e punti di vista sulla situazione
politica del momento con la concitazione e l'entusiasmo crescenti di chi scopre
nell'interlocutore un comune sentire, sia pure con la consapevolezza che non
riuscirà a confrontarsi su tutti gli argomenti che gli stanno a cuore in un
lacerto di tempo così breve.
Così
conobbi Franco Pisano, e quando lo incontrai di nuovo in una libreria del
centro cittadino, lo sguardo intento a setacciare i titoli dei volumi di
economia marxista e di teoria critica allineati sugli scaffali, riallacciammo
la conversazione interrotta qualche giorno prima. Non mi ero sbagliato:
l'impressione di una nostra comunanza di idee e di giudizi politici che avevo
ricevuto al primo incontro si confermò fin da subito, rafforzandosi nella
condivisione di riferimenti teorici e di scelte politiche alimentati da una
stessa visione del mondo e della società. Uscimmo dalla libreria seguitando in
un dialogo in cui la condanna del "modello" comunista sovietico (il
socialimperialismo, nel lessico di allora) si intersecava con il forte interesse
per la Cina di Mao e la Cuba di Castro, e il netto rifiuto dello stalinismo
accompagnava la critica al revisionismo del Pci. Insomma, passeggiando avanti e
indietro sotto i portici di quella città di provincia, in un giorno d'autunno
del 1967 ancora mite, e senza averne peraltro piena consapevolezza, stavamo
affrontando anche noi, come in quel momento facevano altre migliaia di giovani
sparsi per tutta la penisola, i nodi teorici di quel marxismo critico, sorto in
opposizione al dogmatismo burocratico e ai rituali sclerotizzati dei paesi del
socialismo reale, che avrebbe permeato di sé la nuova identità politica della
generazione nata a ridosso della fine della seconda guerra mondiale, e che nel
contempo avrebbe ispirato la stagione delle ribellioni e delle lotte sessantottesche.
Nel corso della conversazione, che si prolungò su una panchina dei giardini di
fronte ai portici dove andammo a sederci, potei rendermi conto della solida
formazione teorica di Franco e, facendo appello alla mia limitata conoscenza di
quei pensatori marxisti a cui lui si riferiva con la familiarità propria di
letture sistematiche, arrancavo disperatamente nel tener dietro alle sue
parole. I nomi dei maggiori esponenti novecenteschi del pensiero critico
marxista che Franco citava presero a sfilare sotto i miei occhi
sull'improvvisato palcoscenico dei giardini e devo dire che furono proprio quei
nomi a definire il programma delle mie letture future.”
Federico
“Lucio” Paganini, Unione Inquilini
Legge Paolo Luporini -
“A cavallo degli anni
’60 e ’70 studiavo e la mattina, alle otto, sentivo regolarmente il giornale
radio che immancabilmente annunciava: “…aerei americani hanno bombardato… “
questo o quell’obiettivo vietnamita. Quell’annuncio, altrettanto
immancabilmente, prima del disgusto. mi provocava una contrazione di qualche
muscolo del ventre, forse una stretta delle coronarie, poi subentrava la rabbia
che prendeva i muscoli delle braccia: era come se volessero muoversi, ma per
l’impossibilità di dare uno sfogo fisico alla rabbia e all’odio subivano per
qualche istante una specie di tremito. Aveva ragione Omero quando situava la
sede delle funzioni intellettuali nei precordi, e non nel cervello. Queste
erano le mie emozioni di fronte alle infamie dell’imperialismo americano.
Naturalmente posso parlare solo per me per quanto riguarda le sensazioni e i
sentimenti più profondi. Quello che ho descritto è il “mio Vietnam”, il Vietnam
come l’ho vissuto io. Non so come reagivano nel loro intimo i tanti giovani che
come me odiavano quella guerra, però li avevo attorno a me a centinaia in
questa città e li vedevo in tv a decine di migliaia quando le manifestazioni
antimperialiste si svolgevano nelle grandi città d’Italia e del resto del
mondo. Vedevo Sartre in Francia, Joan Baez e Jane Fonda e Cassius Clay e Angela
Davis negli USA, vedevo Che Guevara in Bolivia, Lelio Basso e il suo tribunale
in Italia, battersi contro l’imperialismo e quelli erano i miei eroi. Fossero
loro toccati emotivamente come me o la loro indignazione fosse soltanto
razionale, li sentivo comunque vicini.”
Claudio
Rissicini, volontario internazionale, fondatore del Museo Paleontologico di
Lerici
-
Legge Giovanni Tabacchiera -
“Nell’estate del ‘64,
a quattordici anni, terminai la Terza Media, anzi, la Terza Avviamento
Commerciale, perché la riforma della Scuola Media doveva ancora dispiegarsi
completamente, e quindi all’inizio degli anni sessanta, quando finii le
Elementari, esisteva ancora una scuola differenziata: i figli della borghesia,
alta, media e piccola, andavano, previo Esame d’Ammissione, alle Scuole Medie,
mentre i figli dei proletari andavano alle Scuole di Avviamento Professionale,
che a Sarzana aveva indirizzo Commerciale, invece alla Spezia aveva indirizzo
Industriale. Era una scuola senza senso, dove, oltre alle materie tradizionali,
si praticavano materie quali la stenografia, dove io eccellevo, dattilografia,
calligrafia, e permetteva di iscriversi solo a Ragioneria, mentre erano
precluse le altre Superiori quali Liceo, Istituti Industriali, Nautico.
Si doveva decidere il
mio futuro e, per me, che avrei voluto continuare a studiare, la scelta era
obbligata: dovevo andare a lavorare perché mio padre era morto di tumore a
maggio, all’età di 53 anni, e con la paga di mia madre, operaia precaria, non
vi erano altre possibilità. Inoltre avevo tre fratelli , tutti più grandi di
me, anche loro con lavori sottopagati e precari.
Mio padre, Rizieri,
era saldatore all’INMA, dove era entrato dopo le epurazioni politiche
dell’inizio degli anni cinquanta in Arsenale, da dove erano stati cacciati
tutti i militanti di sinistra e che, assieme ai licenziati politici dell’OTO
Melara e delle altre imprese partecipate dallo stato, costituirono l’ossatura
del piccolo commercio provinciale. Molti però entrarono all’INMA, denominata
per molti anni il Cremlino spezzino per la quasi totalità di iscritti al PCI
fra i lavoratori. Il tasso di politicizzazione era molto alto, ed io lo
coglievo dai discorsi che lui faceva con i vicini, i compagni di fabbrica, gli
amici.
Devo a lui il mio
amore per la lettura e, soprattutto, la voglia di avventura che mi instillò
dandomi da leggere intorno ai dieci anni i libri di Salgari, con le stupende
descrizioni dei tropici, luogo elettivo delle avventure di Sandokan, o dei vari
corsari, nonché i gialli di Arsenio Lupin.
Quello spirito
romantico è poi rimasto in me, che ho poi trasfuso nei lavori che, trentenne,
ho iniziato a praticare in Africa ed altri luoghi.”
Augusto
Licausi, volontario, docente Sindacato Pensionati Italiani - Legge Massimo Marasco -
“AVEVO VENT'ANNI NEL '68, ma il mio "personale
'68" aveva cominciato a fermentare qualche anno prima, intorno al 1966,
l'anno del diploma.
Frequentavo
le aule del "Da Passano" (la scuola per "Ragionieri e Periti
Agrimensori"), con scarso entusiasmo e con risultati appena apprezzabili.
Ero
convintamente uno Scout dalla formazione religiosa approssimativa (non faceva
parte della mia educazione familiare) e senza tante domande. L'ideale del
"servizio verso il prossimo" e l'immagine dell'"uomo di
frontiera" (Il Presidente Kennedy, il cardiochirurgo Barnard, Thor
Eyerdahl e il Kon Tiki, gli astronauti dei primi viaggi nello spazio...) erano
i nostri miti e, in qualche modo, alcuni dei riferimenti del percorso educativo
che allora ci veniva proposto.
Erano gli
anni del grande fermento del mondo cattolico suscitato dal Concilio Ecumenico
quando ancora non si stava manifestando la "controriforma" che in
Liguria si sarebbe concretizzata con il potentissimo Cardinal Siri e alla
Spezia con il Vescovo Stella.
Ne subirono
le conseguenze tanti giovani preti che dovettero soffrire emarginazione e vera
e propria persecuzione al punto da dover lasciare il sacerdozio.
Ma questa è
un'altra storia anche perché sarebbe avvenuta qualche anno dopo.
Lo studio
era impegnativo ma il "clima" non competitivo e, oserei dire,
cameratesco che si viveva in classe rendeva tutto non particolarmente faticoso
e talvolta persino divertente. Si studiava spesso insieme in casa dell'uno o
dell'altro ma dopo un po’ spuntavano le carte da gioco, qualcuno sentiva
musica, qualcuno dei più "avanti" usciva con "la donna",
gli sfigati come me rimanevano a studiare.
Memorabili
le "spedizioni speleologiche" nelle grotte di Quaratica e Pignone
tra una rendicontazione di partita doppia e una lezione di diritto
fallimentare...
Nel 1966 mi
sorprese non poco un episodio scolastico di cui fu autore il preside Angelo
Gianni, uomo di grande cultura e formidabile affabulatore. Aveva fatto piazzare
in ogni aula un altoparlante attraverso il quale spesso lanciava messaggi che
io non comprendevo bene, ma intuivo e sapevano di
"rivoluzionario". Accanto all'altoparlante c'era un quadro con alcuni
versetti di Rabindranath Tagore. Purtroppo non li ricordo, ma suscitavano
rispetto e virtù civili. Ricordo un appassionato sermone in occasione del
disastro del Vajont... del 1963. Ma nella primavera del 1966, a seguito di
molte manifestazioni nelle università (in particolare a Pisa) il Gianni ci
rivolse un accorato appello alla partecipazione e all'impegno studentesco per
la realizzazione dei principi della Costituzione. Noi avevamo studiato (male)
un po’ di diritto ma le cose che ci disse erano irrituali ed io mi sentii più
grande...
Non fece
l'effetto di un cerino sulla benzina (anche perché eravamo divisi tra la
preparazione della maturità e quella dell'ultima goliardata dell'ultimo giorno
di scuola: tutti a sfilare vestiti da scozzesi con gonnellino e cornamuse)
però, se lo ricordo ancora, a distanza di cinquant’anni, ci sarà un motivo!
L'impatto
con la frequentazione della facoltà di economia a Pisa non fu uno scherzo
perché tutto incuteva timore nonostante l'atteggiamento fintamente spavaldo.
E veder sventolare una bandiera rossa al balcone della
Sapienza come segnale dell'occupazione mi fece un certo effetto... anche perché
ero un povero pendolare, dovevo correre a prendere il treno e gli uscieri ci
avevano sprangato dentro per evitare l'ingresso agli occupanti...
Era la fine
della goliardia, delle feste delle matricole, delle corse frenetiche dei neo
iscritti per evitare di essere messi in mutande e trascinati in via Chiodo
addobbati da albero di natale. Per evitarlo dovevi comprare un
"papiro", un lasciapassare con vignette, sconciaggini di vario tipo,
realizzati da sempiterni studenti fuori corso (i Tribuni) che in tal modo si
pagavano bevute e non solo...
Un po' per
fortuna, un po' per l'impegno, la conquista del presalario (un discreto
compenso in denaro a chi coniugava buoni risultati in esami superati con
requisiti economici contenuti) mi consentiva di proseguire lo studio senza
dovermi subito cercare un lavoro e così il 1967 volò via velocissimo tra
l'impegno di studio, il servizio scout come capo di un branco di trenta bambini
con una responsabilità educativa che, ripensandoci, mi atterrisce, e con i
genitori di quei bambini che mi facevano sentire un guru per quanta
autorevolezza immeritata mi assegnavano.
Ma questi
impegni si vivevano dentro un’atmosfera di straordinaria presa di coscienza...
(così ci sembrava), la storia aveva assegnato a noi di quella generazione il
compito e il destino di cambiare il mondo! E noi eravamo convinti che ci
saremmo riusciti! Cambiando la politica, la chiesa, le nostre famiglie, i
rapporti tra le persone, i rapporti tra il nord e il sud del mondo, la musica,
il modo di vestire, i rapporti col "misterioso" mondo femminile...
E forse
cambiando anche un po' noi stessi.”
Parlando
di Augusto Caffaz… -
Legge Giovanni Tabacchiera -
“Sono Giuliano
Olivieri ed ho avuto occasione e fortuna di incontrare Augusto Caffaz per la
prima volta con i primi fermenti “rivoluzionari” nella città di Spezia, erano
gli anni a cavallo del ’68. Già al primo incontro mi hanno colpito in Augusto
la grande ironia e autoironia e la fermezza di un militante politico
disciplinato. In quegli anni Augusto, oltre a svolgere l’attività d’insegnante
alle scuole medie, ha avuto sempre nella militanza politica il suo vivere
quotidiano, alternando anche il suo tempo di militanza tra la passione per il
teatro e le lotte operaie e antirazziste. Era di origine ebraica, nato in
Calabria e orgogliosamente antisionista, impegnato contro l’occupazione da
parte degli israeliani dei territori palestinesi. Inizialmente ho faticosamente
cercato di capire come potesse far convivere la cosa con gran naturalezza.
Soltanto molti anni dopo e con la frequentazione continua ho compreso cosa
avesse vissuto in quegli anni. È stato il mio primo insegnante di vita politica
e, quando per motivi di lavoro mi sono trasferito a Napoli ed ho continuato la
mia vita politico/sindacale, ho avuto in Augusto il ricordo di una guida
importante.”
“Ricordo inoltre che
non ci fosse manifestazione, raduno o assemblea in cui non si presentasse con i
propri scritti da divulgare a presenti e... passanti.“
“È deceduto all’età di 71 anni a seguito di un devastante
ictus a Sarzana dopo essere stato ricoverato per lungo tempo al Don Gnocchi, il
centro riabilitativo a Fontevivo, dove ciascuno di noi ha sperato di poterlo
rivedere sul campo come negli anni trascorsi insieme ma purtroppo le nostre
visite non hanno potuto riportarlo in vita. Ricordo che quando andavo a
trovarlo continuavo a parlargli come abbiamo sempre fatto e nelle volte in cui
ho vissuto l’illusione che mi ascoltasse… ho potuto soltanto sussurrargli:
“Grazie, compagno amico, di tutto!”.”
Gianandrea Ghirri - Legge Giovanni Tabacchiera -
“Brutto periodo il
nostro ‘77. Alternato tra Piazza Verdi, il Liceo, la sede del PdUP, di LC, del
Movimento, tra via Prione e Migliarina, e Via Biassa. E le interminabili
assemblee scolastiche, politiche, di Movimento, i cortei, le lotte a colpi
d’arancia in Via Chiodo, giusto per vedere se i pulotti sarebbero intervenuti.
Noi ce la mettevamo
tutta, con Eskimo e passamontagna, per essere credibili.
Ma quelli niente, non
intervenivano. Dichiarando al mondo che noi eravamo visibilmente la parte
innocua del movimento di protesta, separati con grande dolore dalle serietà che
si svolgevano altrove, con bombe e colpi di pistola.
Noi diciottenni nel
1977-78, allevati a “Il mestiere di vivere”, “Il muro”, Lolli, Guccini, Genesis, Canned Heat e Pink Floyd. Anche a Lenin e SturmTruppen.
Il nostro immaginario
di figli di operai, sottufficiali, artigiani, bottegai, era riempito di
concretezze che non trovavano precisa definizione in un qualche “Che fare?”. La libertà anarchica c’impelleva nella sua natura
piccolo borghese.
E allora tutti in
assemblea, a coltivare la nostra diversità che oggi ci assicura il
galleggiamento, oggi che davvero sono arrivati i tempi brutti per la diversità.
Noi, allevati a Pavese, a “Che
fare?”, a vivere la solidarietà e la condivisione quotidiana nel gruppo, oggi
siamo la meglio ‘senectus’, e galleggiamo.
Col Disperato, erotico, ‘stomp’ dei nostri cortei.”
Claudio
Corsi - Legge Giovanni
Tabacchiera -
Ho visto le menti migliori
della mia generazione eccetera eccetera
Ginsberg, Urlo
“Quando una delle prime sere del settantatré, ai Giardini arrivò la
notizia che Giustelli veniva a stare in città, i vecchi del Collettivo Cemento
Armato si fregarono le mani: “Ci siamo, ragazzi, adesso ne vedremo delle
belle!” Noi, pivelli di quindici-sedici anni, nel Collettivo c’eravamo entrati
da poco; e certe cose non potevamo ancora saperle. Vero è che ogni tanto, alle
riunioni, il nome di Giustelli qualcuno l’aveva tirato fuori; ma era solo un
modo di dire. “Fare come fa il Giustelli” era lo stesso che “fare l’esagerato,
l’avventurista politico”. Di lui, nello specifico, non avevano mai parlato.
Alla fine, domandando un po’ in giro, c’eravamo fatti l’idea che Giustelli
fosse il classico sbandato con poca teoria e tanta voglia di far casino. Il che
non era poi sbagliato; ma non la diceva tutta. Giustelli era, infatti,
qualcosina di più. Anzi, era molto, molto di più: era un tipo unico, una specie
d’incrocio fra un vulcano e una bomba a orologeria – uno di quelli insomma che
dopo un po’ ti accorgi che gira con più carica degli altri.
A dire il vero, quella prima sera che lo abbiamo visto ai Giardini, non è
che ci avesse fatto una gran impressione: un tipetto secco e pieno di spigoli,
capelli lunghi e stenchi, un po’ di pelo sotto il naso... Però, già l’indomani
al bar, gli giravamo intorno in giri sempre più stretti. Quella sua giacchetta
da pescatore di fiume – non capivamo perché – ci tirava gli occhi come una
calamita… Insomma, sta di fatto che tempo una settimana gli eravamo già
incollati addosso tutto il santo giorno!”
Massimo Marasco,
attore, romanziere, saggista di psicoanalisi, fondatore della Fondazione Silvia
Montefoschi - Legge lui
stesso -
“Ho avuto
la fortuna di avere un grande amico.
Si chiamava
Renato Cirelli.
Per me, che
sono figlio unico, è stato come un fratello, anzi, molto più che un fratello.
Un fratello
ce lo si trova accanto per caso, per motivi di sangue, non lo si sceglie.
Renato e io
avevamo invece scelto di frequentarci; compagni di scuola, eravamo diventati
fin dalla seconda elementare compagni di banco, avevamo deciso di vederci anche
dopo le lezioni per fare i compiti insieme e dopo per giocare insieme.
Facevamo
anche giochi tradizionali, ricordo ad esempio le interminabili partite a Monopoli,
senza la “y” finale, forse per un rimasuglio post-fascista di difesa
della lingua italiana, anche se eravamo già negli anni ’60; ma più che altro i
giochi ce li inventavamo.
Per
esercitare la nostra curiosità, la nostra sete di conoscenza, giocavamo a
“farsi delle domande”, su qualunque argomento, da appassionati consultatori di
enciclopedie per ragazzi.
Per dar
sfogo alla nostra fantasia, giocavamo alle “commedie”, recitando a soggetto
dapprima utilizzando un teatro di burattini, poi dei pupazzetti di plastica,
che per noi potevano raffigurare qualunque personaggio.
Ci
influenzavamo a vicenda, ad esempio forse all’inizio ero io quello più
appassionato di calcio e di sport in generale, ma poi è sempre stato lui che
fin da bambino mi ha iniziato a ciò che per me avrebbe rappresentato un salto
culturale, la via per diventare adulti, una presa di coscienza.
Fu Renato a
suscitare in me una presa di coscienza politica e sociale che aveva messo in
discussione quello che per me era stato fino ad allora un mito: quello degli
Stati Uniti, con le sue città, automobili, fumetti, sport, “way of life”, i
Kennedy, e quant’altro; come pure mi aveva fatto ridimensionare l’importanza
della scienza e della tecnica, che per me fino ad allora rappresentavano
anch’esse un mito indiscutibile.”
Renato
iniziò a frequentare attivamente gli ambienti della sinistra extra-parlamentare
e dopo la maturità si iscrisse a Filosofia.
Io seguii
la mia passione di bambino e mi iscrissi a Chimica, e per i primi anni
dell’università Renato e io ci allontanammo.”
“Quando Renato e io ci ritrovammo eravamo entrambi in
crisi.
Nelle
nostra vicenda umana aveva fatto irruzione un nuovo: l’amore, il femminile, la
passione con la sua forza prorompente che aveva destabilizzato le nostre vite
fino ad allora dominate dal pensiero, dal maschile, dalla razionalità.”
“Ad un certo punto,
però, la passione per la politica e per il sociale di Renato era tornata
prepotentemente a farsi sentire.” S’impegnò moltissimo a favore dei rifugiati e
degli immigrati che nessun altro nella sinistra ancora vedeva. Ebbe però
vicissitudini personali dolorose ed entrò in analisi. “Proprio nel mezzo della
sua evoluzione, che lo aveva portato a superare il conflitto tra pubblico e
privato, universale e particolare, fino a riconciliarsi con la moglie tanto
amata; nel mezzo del nostro dialogo che mi portava sempre più a capire l’importanza
della psicoanalisi per
la mia vita, una malattia implacabile colpì Renato portandolo inesorabilmente e
troppo velocemente a una morte prematura, ad appena quarant’anni.”
“Non dimenticherò mai
che un giorno in cui stava particolarmente male, tanto che non riusciva quasi a
parlare, Renato ebbe la forza di sussurrarmi:
«Massimo, non
abbandonare l’analisi!»
In quel momento capii
tante cose.
Che lui se ne stava
andando lasciandomi questo compito in eredità.
Che era giunto per me
il momento di proseguire il cammino della conoscenza e dell’evoluzione insieme
alla fonte stessa del nuovo pensiero.”
Interventi...
Siamo un collettivo di 38 di noi
che negli anni settanta avevamo circa vent’anni. Al circolo anziani di piazza
Brin di via Filippo Corridoni 7 a La Spezia c’è stato ieri un
evento/presentazione con molti interventi musicali di Gian Luigi Ago e Patrizio
Cozzani, buone scuse per incontrarci e dirci cosa è intercorso dai nostri
ultimi incontri individuali. È stato invece un momento collettivo, come
collettivo è stato il nostro lavoro di scrivere capitoli o rilasciare
interviste che hanno composto, insieme a qualche vecchia foto, i due volumi del
libro TEMPI DEI CUORI CHE S'INFIAMMANO. I due volumi si acquistano online da
Amazon.it oppure nella libreria LIBeRItutti di via Tommaseo 49 a La Spezia. La
descrizione di questo lavoro, che compare nel catalogo e sulla quarta di copertina,
dice:
"Attorno a famose foto degli
anni '70 si è formato un collettivo per raccontare le storie di molti che ai
Tempi dei cuori che s'infiammano scelsero l'impegno. Anche ora sono tempi di
fuoco e servono quelle storie per infiammarli perché l'incendio dei cuori
divampi.".
Hanno letto e interpretato brani
estratti dai capitoli del libro Oretta Iacopini, Giovanni Tabacchiera, Massimo
Marasco, Paolo Luporini, che ha curato il blog https://cuoriinfiamme.blogspot.com
a partire dal 15 aprile 2020, durante il lockdown, e i due volumi, la loro
pubblicazione e distribuzione a favore dell’associazione Emergency Ong che dal
1994 è presente nei paesi in guerra con ospedali e chirurghi che operano
indistintamente i feriti di ambo le parti e i civili, donne e bambini, spesso
mutilati dalle mine antiuomo. Sinora, dalle vendite, sono stati raccolti quasi
600 euro, e le royalties e le donazioni spontanee contribuiscono ad aumentare
gli importi da Spezia.
Ieri sono intervenuti iscritti al
Partito Radicale, ex membri di Lotta Continua, della Lega dei Comunisti, del
PdUPc, della Quarta Internazionale, del Movimento Studentesco e del Movimento
Lavoratori per il Socialismo. Sono stati ricordati Franco Pisano, fondatore a
Spezia del Potere Operaio e della Lega dei Comunisti, Avanguardia Operaia e
Democrazia Proletaria. Augusto Caffaz, della Quarta Internazionale, tenace
combattente per l’Acqua pubblica e per le cause internazionaliste, lui di
origine ebraica, appassionato difensore della causa palestinese, è stato
ricordato così come Federico “Lucio” Paganini, militante della Lega dei
Comunisti, di Democrazia Proletaria e di Rifondazione Comunista, fondatore a
Spezia del sindacato per la casa Unione Inquilini, è stato ricordato per la sua
passione antimperialista, a partire dalla causa vietnamita. Maurizio Cavalli,
ottimo musicista folk, creatore del "Centro della Comunicazione", si
è fatto ricordare per la morte precoce come quella di Renato Cirelli, uno dei
primi nella sinistra spezzina che si accorse della presenza degli immigrati in
provincia impegnandosi per la loro accoglienza e sostenendo la creazione del
Centro di Solidarietà per gli immigrati. Una rara canzone della Resistenza
italiana, interpretata da Gian Luigi Ago, ha concluso il nostro incontro. I due
volumi di TEMPI DEI CUORI CHE S’INFIAMMANO sono stati donati oggi alla
Biblioteca U. Mazzini in attesa di essere catalogati e messi a disposizione per
la consultazione.
“ …Anche ora sono tempi di fuoco
e servono quelle storie per infiammarli perché l'incendio dei cuori divampi.”
Sarebbe una nostra speranza, ed è
una delle motivazioni implicite del libro, che le nostre storie ed esperienze
servissero alle generazioni presenti e future per capirne la continuità con la
Resistenza dei partigiani contro i nazifascisti, le lotte per la libertà e
l’ingiustizia, l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli, argomenti che,
come è evidente, sono ancora drammaticamente attuali.
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